Mancano poche miglia e l’ammiraglio del transatlantico Festival di Sanremo giungerà in porto in perfetto orario. Carlo Conti, anche con la doppia esecuzione di Crêuza de mä, riesce a finire grossomodo in tempo con un minimissimo ritardo. Voto allo spettacolo: 4+. Geppi Cucciari più che sufficiente: simpatica, veloce, è un filino più tagliente rispetto al solito. Ma Carlo Conti argina perfino Benigni, che a un certo punto va in una direzione politica, ma lui lo frena, rimane sul palco e dice: «Non parliamo di politica». E Benigni rimane lì per fare il marchettone di un suo programma televisivo.
La serata delle cover non è fra le più belle che io abbia mai visto in questi trent’anni. Teneri tentativi. E parlerò male anche di Brunori, questa volta, a dimostrazione del fatto che voglio essere trasversale: sembrava di vederlo all’osteria, dopo aver bevuto e mangiato, che canta con degli amici L’anno che verrà.
Disastro Achille Lauro, che infatti non entra in podio dopo aver regalato a tutti, compresi noi giornalisti, una rosa con scritta una frase d’amore, invitando palesemente a considerarlo in qualche modo, in quanto artefici del voto. Ricordiamo che questa serata non ha a che fare col cumulo dei voti finali, ma serve dal punto di vista emozionale: chi ha lavorato bene avrà un traino emotivo diverso, che lo spingerà in una determinata direzione.
Tutti voti sufficienti o poco meno. Qualche piccolo guizzo. Serena Brancale offre una splendida esecuzione assieme ad Alessandra Amoroso. Ci si domanda: così brava vocalmente com’è, perché aveva una canzone così discutibile? Ma perché?
Giorgia e Annalisa sono bravissime. Skyfall è un pezzo straordinario. Ma hanno un problema: sono fredde. Come questo Festival, che è un Festival senza paillettes, ministeriale. Freddo, preciso, che non sgarra, tra l’altro con la conferma che ci sarà un Conti-bis. Siamo d’accordo con la classifica? Sì, l’incontro di due generazioni, quindi Masini e Fedez che cantano Bella stronza, rivista con il rap di Fedez, funziona benissimo. Come funzionò, l’anno scorso, il rap di Vecchioni con Alfa. La rivisitazione è potente e a questo punto finiscono gli ennesimi pettegolezzi su a chi Fedez volesse dedicare la canzone. Mi sembra molto evidente. Lui è oggettivamente commosso, e il Festival gli deve molto, sia per le polemiche sia per questa sua presenza. Vedremo cosa succederà con il traino del televoto, ma ho il sospetto che arriverà assolutamente in zona podio. Questo è.
Non siamo d’accordo fra il primo e il secondo: Lucio Corsi mette a segno l’ennesimo colpo di genio a questo Festival. Ho passato giorni a dire che la rivelazione è Olly. Olly è la rivelazione, nel senso che non mi aspettavo da un ragazzino quella profondità. Su Lucio Corsi avrei scommesso, invece. Meraviglioso. Splendido far cantare Topo Gigio. Nel blu dipinto di blu rimane la canzone più bella del mondo, e lui la esegue con Topo Gigio, strappando veramente delle lacrime, questa volta assolutamente autentiche. Parliamo di lacrime autentiche, qualcosa che non si era mai visto, che ci porta all’infanzia, che ci ricorda, come dice Lucio Corsi, che il palco, la finzione e la canzone sono ciò che ci permette di astrarre dalla realtà per poter godere di un momento importante di pensiero e di leggerezza. Per noi assolutamente primo con lode, e non secondo.
L’esecuzione di Bresh con Cristiano De Andrè non si può valutare. De Andrè canta suo padre e Crêuza de mä è qualcosa che dovrebbe essere studiata sui banchi di scuola, per cui io non la giudico tanto una cover perché rientriamo in un ambito classico. Sarebbe come aver letto un passo della Divina Commedia.
Aggiungiamo una piccola cosa ma importante: oggi, per la prima volta, una giornalista ha aggredito Tony Effe. Che è stato bravissimo. A parte un errore di congiuntivo colossale, probabilmente dovuto all’emozione, ha detto che è importante sapere che quello che dice, spesso, sono giochi di parole, slang che servono al suo stile musicale, e che lui non è così, non è come nei suoi testi. Ed è stato anche carino perché i discografici hanno cercato di arginare la giornalista ma lui ha detto «come dico io le cose, è giusto che le dica anche lei». Cosa sacrosanta.
Chiudo con un’altra robina. Meraviglioso, e in perfetta coerenza con la classe che ha mostrato in tutto il Festival, Shablo, con Guè, Tormento e Joshua. E con l’arrivo improvviso di Neffa, che indossa un cappellino e ci riporta nel fatato mondo dei Messaggeri della Dopa. Lo volevamo da tempo: Neffa che canta il rap ci fa impazzire.
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Sanremo giorno 4: Herbert Cioffi in collegamento
RSI Cultura 14.02.2025, 16:15
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