Diciamo alcune cose fondamentali. Diamo innanzitutto una valutazione a quello che è il Festival di Sanremo in quanto show, vista l’importanza che ha. Uno show che è finito 15 minuti prima, confermando l’essere preciso di Carlo Conti e l’essere poco brillante dal punto di vista creativo. È sempre stato un suo limite. Ha continuato a infarcire la trasmissione di «Andiamo avanti» e ce l’ha fatta. Quindi, direi spettacolo inesistente. Anche il momento di Imagine, quindi della pace, è stato così astuto da affibbiarlo a una canzone e al Papa: si può contestare questo? No. Grande show di Jovanotti, che col suo buonismo vince indubbiamente: L’ombelico del mondo è trascinante, seppur lui claudicante. E poi Gerry Scotti. Sì, un amico. Però anche lui non brilla per sontuosità.
Cos’è la sontuosità?
È quell’atteggiamento dei Baudo, degli Amadeus, che davano così tanta importanza al Festival che ci facevano fibrillare. Ricordo l’annuncio della vittoria di Giorgia. Ero qua tantissimi anni fa, trent’anni fa: lo fece Baudo e noi si tremava. Qui non è così. Qui è un viavai, una sorta di karaoke con Scotti piuttosto sciatto, in modo simpatico, senza cravatta. Io lo definirei idoneo a presentare Ok, il prezzo è giusto. Tra l’altro fa la battuta del secolo riferendosi alla canzone di Elodie. «Dimenticarsi alle 7» dice, citando il titolo, «la utilizzerò come sveglia per prendere una pastiglia alle sette». Oltre a questo, lo show non c’è stato. Antonella Clerici? Sì, carina, simpatica come sempre, ma non che uno di questo Festival possa ricordare pagine della storia della televisione italiana, almeno per ora.
Andiamo invece alla musica. Confermo quello che ho già detto: c’è tutta una parte che non arriverà sul podio e che vive di un grande potenziale da hit. Suoneranno benissimo in radio, le canteremo, ci faranno compagnia mentre rifacciamo i letti. Come Cuoricini dei Coma Cose o molte altre, ben eseguite sul palco, che però forse alla fine si potevano togliere. A questo punto si potrebbe fare un Festival più sontuoso, più corto musicalmente, portando le canzoni a 24 e impreziosendo la rosa per evitare di star lì a sentire delle cose. In alcune delle quali, tra l’altro, secondo me qualcuno noterà dei plagi, perché ci sono delle cose abbastanza evidenti.
Alcune canzoni brillano. C’è una splendida Giorgia, pressoché perfetta, un meraviglioso Gabbani che io avrei fatto inserire nei cinque nomi che la sala stampa ha votato, a discapito di un Cristicchi. Non esprimo un gusto personale, esprimo un gusto tecnico. Come ho sempre detto dall’inizio, non sono proprio per le emozioni programmate a tavolino e un po’ strumentali. Sono settimane che pubblica ringraziamenti alla mamma, le standing ovation che ha ricevuto, questo mi sa di artefatto e per questo forse avrei inserito Gabbani. Lucio Corsi commovente sia per come è lui, dal punto di vista dell’esibizione, sia per quello che rappresenta questo folletto della fallibilità: ecco, cantare ed elogiare la fallibilità è qualcosa che in questi anni è potentissimo. Meraviglioso e simpatico Willie Peyote, elegante come è giusto che un sabaudo sia.
Ranieri non ce la fa. Tony Effe è terrorizzato, addirittura stona. E poi mi fa un po’ di tenerezza vederlo cantare improvvisamente in romanesco dopo che è stato accusato di testi efferati. Mi fa stranissimo. Brunori meraviglioso. Assolutamente. L’albero delle noci vince per esperienza: quindici anni di cantautorato in giro per i locali non sono poco. Secondo me il premio della critica deve andare a Lucio Corsi e il Festival è di Giorgia.
Show piatto, ma questo l’abbiamo detto. Vince il jingle «Tutta l’Italia, tutta l’Italia» più delle canzoni di Sanremo. Ci si aspettava questo? Io li ho vissuti i Festival di Conti, sono questa roba qui. Sono precisi, sono impeccabili. Nessuna polemica. E sono show che vincono. Perché ci sarà anche un metodo di valutazione Auditel che viene chiamato “globale”. Significa che non si conteranno solo quelli che guardano la tv, ma tutti quelli che guardano anche il mirroring (Rai Play, web). Un metodo in sperimentazione da un po’ e ufficiale da dicembre, quindi nessun paragone con Amadeus. A proposito di Amadeus e di sontuosità, ieri il momento sontuoso è stato Jovanotti che ha cantato L’ombelico del mondo da fuori: un po’ poco per la più importante manifestazione di musica italiana nel mondo. Questa frase può sembrare scontata perché uno dice «sì, grazie è l’Italia e fa la musica italiana» ma no, io parlo di esportazione di musica italiana. Un tempo l’esportazione c’era con Domenico Modugno. C’è stata, poi non c’è stata più. Ora invece è assolutamente globale, nel vero senso della parola.
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Sanremo: manca poco all’inizio del Festival
RSI Cultura 11.02.2025, 16:15
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