Architettura

Il design dell’identità (acquistabile a rate)

Nella seconda metà del secolo scorso, l’arrivo della televisione spalancò le porte alla società di massa e a quella del consumo, modificando radicalmente il concetto dell’abitare

  • 23 luglio, 08:30
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Di: Romano Giuffrida

«Ah, com’era bella la vecchia casa con il focolare!»

«Con il focolare? Ma stiamo scherzando? Queste nostalgie lasciamole agli anziani: le nuove case ridisegneranno le scenografie del quotidiano nelle quali gli individui potranno inventare liberamente i propri modelli abitativi». Questo è un dialogo immaginario, esso però sintetizza il reale dibattito architettonico che dalla seconda metà degli anni Cinquanta cominciò a svilupparsi un po’ ovunque. Da una parte i cosiddetti passatisti, dall’altra, gli architetti che propugnavano la nuova mentalità progettuale che si andava affermando.

I passatisti erano i sostenitori di una visione retorica legata a una tradizione familista che riconosceva la casa come centro nevralgico dell’istituzione familiare. La nuova progettualità, invece, concepiva l’abitazione in relazione alle radicali trasformazioni sociali e culturali in atto.

In quel periodo, a dieci anni e oltre dal termine del Secondo conflitto mondiale, era terminata o si avviava a terminare la fase durante la quale la questione abitativa era stata quasi esclusivamente legata al soddisfacimento del bisogno primario della casa.

Milano, Quartiere Gallaratese anni ‘50

Milano, Quartiere Gallaratese anni ‘50

Pian piano la casa aveva infatti cessato di essere un miraggio ed era diventata una realtà, anche se, molte volte, vissuta in quegli alveari generalmente anonimi che erano cresciuti quasi senza soluzione di continuità soprattutto nelle periferie delle città.

In Italia, alla loro progettazione concorsero professionisti divenuti poi protagonisti della storia dell’architettura internazionale: Franco Albini (1905-1907), Giancarlo De Carlo (1919-2005), Marco Zanuso (1916-2001), Guglielmo Ulrich (1904-1977) sono solo alcuni nomi di un elenco che altrimenti sarebbe lunghissimo. Non potendo prescindere dalla standardizzazione imposta dalla tipologia del caseggiato, molti architetti puntarono allora sull’adeguare gli interni alle mutate modalità dell’abitare determinate dai nuovi ritmi e dai nuovi modi di vivere che la contemporaneità richiedeva.

arch. Franco Albini, interno di un appartamento (anni Cinquanta)
  • arch. Franco Albini, interno di un appartamento (anni Cinquanta)

Su questi temi l’architetto Joe Colombo (1930-1971) scriveva ad esempio:  «Considerando la casa come uno spazio da organizzare e attrezzare, in tutti i suoi volumi, con elementi adatti alle nostre necessità e corrispondenti alla nostra epoca (...) si potrà parlare di un contenitore e di un contenuto che possano all’occorrenza essere svincolati per permettere maggiore flessibilità all’insieme. Il contenitore dovrà essere il più possibile elastico e dimensionato secondo le caratteristiche delle varie zone in cui si svolgeranno le azioni fondamentali dell’abitare, lasciando al contenuto di muoversi liberamente in esso.» Non dimentichiamo che siamo negli anni della modernizzazione consumistica che investe tutta l’Europa e che determina quella che
Pier Paolo Pasolini avrebbe chiamato mutazione antropologica, anni durante i quali la ricerca di una promozione sociale divenne per molti una sorta di imperativo morale.

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Complice, se non protagonista, di questa mutazione concettuale che disegnò la modernità, fu la televisione. Verrebbe da dire che nessun architetto o designer di interni ebbe la capacità di riorganizzare lo spazio abitativo come fece la televisione quando per la prima volta entrò nelle abitazioni delle persone. Al suo arrivo, infatti, le famiglie riorganizzarono parte degli ambienti casalinghi. La tv, infatti, diventò da subito l’elemento centrale della casa: lo dimostrò il fatto che immediatamente venne posizionata nel salotto-sala da pranzo e non nel tinello o in cucina dove prima, generalmente, aveva trovato posto la radio. Non a caso, per la televisione (quasi come “sberleffo” rivolto ai passatisti), fu utilizzata la metafora del nuovo focolare perché, attorno a essa, si riuniva tutta la famiglia, stabilendone orari e abitudini. Quello della televisione fu un segno di importanza enorme non solo come oggetto che s’impose nell’ambiente abitativo, ma, soprattutto, come medium per quella trasformazione radicale che portò al culmine del suo sviluppo la società di massa modificando, nel contempo, il rapporto tra l’individuo e l’abitare.

Gino Bramieri
  • L’attore Gino Bramieri in una pubblicità televisiva per la promozione dei nuovi prodotti in plastica per la casa (Anni ’60)

Fu infatti la pubblicità televisiva a costruire e a modernizzare l’immaginario collettivo del nuovo modo di vivere la propria casa. Grazie a essa, l’arredamento divenne uno status symbol e, parallelamente, la scenografia domestica divenne un feticcio della società dei consumi.

Erano gli anni del boom del design industriale che trasformò l’abitazione in un luogo emblematico grazie a simboli, molto spesso illusori, del benessere e che conseguentemente, nel decennio dei ’60, determinerà ad esempio, la crescita esponenziale dei mobilifici.

Milano ArchiWeek: mostra su Gae Aulenti

La corrispondenza 06.06.2024, 07:05

Architetti come Zanuso, Colombo, Gae Aulenti (1927-2012), Ettore Sottsass (1917-2007), Bruno Munari (1907-1998), Enzo Mari (1932-2020) grazie agli oggetti che ne sono parte integrante, ridisegnarono l’iconosfera abitativa in chiave moderna sia dal punto di vista spaziale che estetico. Come all’inizio del Novecento si riaffermò quell’idea di interieur evidenziata da Walter Benjamin (1892-1940), ossia quell’idea che descriveva la trasformazione della casa del cittadino borghese in “palcoscenico” della sua personalità («Il suo salotto è un palco nel teatro universale» scriveva il filosofo). L’oggetto di design (o la sua imitazione “da grande magazzino”) ebbe più o meno la stessa funzione e, grazie alla televisione che modellava gusti e comportamenti (si pensi al ruolo della pubblicità nel rivoluzionare l’immagine dell’abitazione con le materie plastiche, gli elettrodomestici e le fibre sintetiche), come scrisse l’architetto Andrea Branzi (1938-2023), aprì le porte al «rinnovamento formale di tutta la fascia media della società».

Il design di Marco Zanuso
  • Il design di Marco Zanuso

Marco Zanuso, macchina per cucire superautomatica MOD. 1102 , Borletti, 1956 (Compasso d’Oro 1956); Marco Zanuso e Richard Sapper, radio Cubo, Brionvega, 1962; televisore Doney, Brionvega, 1962 (Compasso d’Oro 1962); Marco Zanuso, ventilatore Ariante, Vortice Elettrosociali, 1973 (Compasso d’Oro 1979).

Fu soprattutto il design a far considerare l’arredamento non solo come centrale e determinante nella progettazione dell’ambiente domestico, ma anche come dispositivo esibizionistico. La televisione sostenne e nutrì questa filosofia diventando così lo schermo su cui gli aspiranti borghesi videro proiettate le loro attese e soprattutto le merci che avrebbero potuto dare inizio allo spettacolo del benessere.

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