Società

L’eredità di Michela Murgia

Alcuni pensieri sulla parola “queer”

  • 26 febbraio, 08:12
  • 26 febbraio, 11:16
Michela Murgia  RSI

Michela Murgia negli studi RSI

  • RSI
Di:  Elena Panciera 

Dare la vita, uscito per Rizzoli il 9 gennaio 2024, è l’ultimo atto d’amore e di maternità queer di Michela Murgia, straordinaria intellettuale che nei suoi 51 anni di vita ha provato davvero a cambiare il mondo, a partire dalle parole

Aspettavo Dare la vita da tempo. Ovviamente, non sapevo che sarebbe uscito, e la morte di Michela Murgia mi aveva fatto dubitare del fatto che un saggio del genere potesse mai vedere la luce.
Confesso che sono molto emozionata a scriverne. L’ho scoperta tardi, Murgia, insieme alle molte analogie biografiche tra noi, tra cui il nostro comune passato intensamente cattolico.

La verità è che Murgia ha trovato anche in Dare la vita le parole per dire tante cose che da tempo penso, e vivo. E ha risposto a molti dei dubbi e delle obiezioni che avevo collezionato da maggio 2023, quando aveva iniziato a parlare risolutamente di “famiglia queer”, e in particolar modo della sua: su Instagram, nel suo ultimo romanzo Tre ciotole, in un’edizione speciale di “Vanity Fair”.

55:29

Solitudine

Cliché 15.03.2023, 21:55

  • Michela Murgia

Michela Murgia è stata la prima figura pubblica italiana a parlare in modo esplicito di forme famigliari diverse da quella cosiddetta “tradizionale”. Ma la famiglia mononucleare di “tradizionale” ha ben poco, ed è nata insieme al capitalismo, come ben spiega Brigitte Vasallo nel saggio Per una rivoluzione degli affetti.
Murgia, per descrivere la propria famiglia, ha usato un aggettivo in inglese: queer. Ogni tanto lo usava anche sotto forma di verbo, come in «queering the family». Vorrei concentrarmi proprio su questa parola, abbastanza oscura anche in inglese, e di cui molte persone italofone non conoscono ancora il significato. 

Che “queer” non sia una parola molto conosciuta in Italia lo possiamo vedere da Google Trends, uno strumento gratuito che permette di vedere i momenti in cui è stata cercata una parola o un’espressione su Google. Per la parola “queer”, vediamo alcuni picchi in Italia nel 2023. Il primo risale all’8 maggio e corrisponde all’intervista in cui Murgia ha annunciato di avere un tumore. Il sottotitolo ha un virgolettato: «Ho comprato una casa con dieci letti dove la mia famiglia queer può vivere insieme». Il secondo picco, il maggiore dell’anno, risale all’11 agosto, il giorno dopo la morte di Murgia, quando tutti i maggiori quotidiani italiani hanno ripreso il concetto di “famiglia queer”.

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Dal profilo di Michela Murgia

  • Instagram

Cosa significa “queer”? Scelgo la definizione di Meg-John Barker e Jules Scheele in Queer. Una storia per immagini: queer «può funzionare come termine ombrello per persone al di fuori della norma eterosessuale, o per persone che sfidano il “mainstream” LGBT (lesbiche, gay, bisessuali e trans). Può anche essere un modo di andare contro le norme relative al genere e alla sessualità attraverso modi diversi di pensare o agire».

Ma, come spiega Leone Orvieto, «al giorno d’oggi la parola queer e la queerness vengono prese in prestito da persone che non fanno parte della comunità lgbtqia+: a volte per indicare il rifiuto delle definizioni, altre l’eccentricità, altre ancora un modello di famiglia non-tradizionale. Esistono poi persone della comunità lgbtqia+ che non le rivendicano per sé». E aggiunge: «Se Harry Styles diventa queer (Murgia, 2022) come lo sono io, persona trans* militante ⎯ che fa della propria identità una forma di lotta, priva di autodeterminazione e diritti ⎯ mi chiedo, cosa mi resta per esprimere la fierezza della resistenza alla subalternità alla quale la mia comunità e io siamo statɜ relegatɜ?». (Una piccola spiegazione: il simbolo “ɜ” usato in questa citazione è il cosiddetto “schwa lungo” che viene usato per indicare il plurale di gruppi che non sono unicamente ed esclusivamente maschili né femminili. Al singolare viene usato il simbolo “ǝ”, detto semplicemente schwa.)

In Dare la vita Murgia risponde a tante domande che evidentemente non ero l’unica a farsi. In primis: è giusto usare la parola queer da una prospettiva relazionale e non identitaria? Come mai parlare proprio di “famiglia queer”, e non di “famiglia scelta”, “famiglia d’elezione”, “rete affettiva” (espressione usata da Vasallo in Per una rivoluzione degli affetti) o perfino “polecola” (parola usata nella comunità poliamorosa per definire i nuclei famigliari non basati su una relazione monogama tra due sole persone)? È giusto usare una parola così pregna di significato per la comunità LGBTQIA+ per parlare di persone ⎯ quelle che compongono la “famiglia queer” ⎯ che non hanno mai fatto coming out come appartenenti a quella comunità? Ma anche: è mai giusto pretendere un coming out da una figura pubblica che parla di argomenti che hanno a che fare con l’identità?

La verità è che Murgia non è la prima a problematizzare l’uso di “queer” in chiave identitaria: questa è una delle discussioni tra chi si occupa di teorie queer (Barker-Scheele 2021, e rimando al pensiero di Judith Butler). È cosciente delle critiche legate al suo prendere la parola da una prospettiva queer relazionale. Per questo, fa un postumo coming out («nella mia vita sono stata a letto con uomini e donne»), ma rivendica una distanza dalle politiche identitarie. Questo mi ha fatto riflettere sul fatto che no, non è giusto pretendere un coming out da una figura pubblica che decide di schierarsi per una causa. Ma la scelta di dichiarare il proprio posizionamento è ancora importante, così come la rappresentazione, e quindi la scelta di diventare una figura di riferimento per la comunità sottorappresentata di cui si parla.

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Judith Butler

  • Keystone

E quindi, cos’è queer per Murgia? Cito da Dare la vita: queer «indica da sempre una stranezza, un’anomalia [...] è dunque sulla soglia tra significati letterali e metaforici. Suggerisce comunque [...] una stortura, un’obliquità, una trasversalità; ennesimo eufemismo nemmeno troppo velato per riferirsi a tutto quello che eterosessuale, cioè diritto, straight, non è». Ma poi aggiunge: «indica in ogni caso un approccio transitorio, interstiziale, non binario: una resistenza a definizioni che stiano definitivamente dentro o fuori della soglia su cui la queerness è sempre rimasta».

Per Murgia, «la queerness è la scelta di abitare sulla soglia delle identità». E quindi: «è una scelta radicale di transizione permanente, attraverso la quale chiunque può decidere di non confinare sé e chi ama (non solo chi desidera sessualmente) in alcuna definizione finale, nemmeno quelle della comunità LGBTIA+ a cui pure magari appartiene».
Vi lascio con una domanda, mia, e un invito, di Murgia.
La domanda: cosa significa “queer per voi?
L’invito: «Quando qualcosa non vi torna datemi torto, dibattetene, coltivate il dubbio per sognare orizzonti anche più ambiziosi di quelli che riesco a immaginare io. La mia anima non ha mai desiderato generare né gente né libri mansueti, compiacenti, accondiscendenti. Fate casino».

Per approfondire:
Meg-John Barker e Jules Scheele, Queer. Una storia per immagini, Fandango, 2021
Antonia Caruso, LGBTQIA+. Mantenere la complessità, Eris, 2022
Michela Murgia, Dare la vita, Feltrinelli, 202
.Queer Nation, The Queer Nation Manifesto, Asterisco, 2021 (la versione inglese si trova gratuitamente sul sito History is a Weapon)
Filo Sottile, La mostruositrans. Per un’alleanza transfemminista fra le creature mostre, Eris, 2020
Brigitte Vasallo, Per una rivoluzione degli affetti. Pensiero monogamo e terrore poliamoroso, effequ, 2022.

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