Nell’immaginario collettivo, la pasta è il simbolo per eccellenza dell’italianità, le cui radici affondano nel mondo occidentale e mediterraneo. Tuttavia, la realtà è molto più complessa: quasi ogni cultura ha scoperto e sviluppato una propria versione di pasta, rendendo questo alimento un vero e proprio fenomeno globale. Anche se l’Italia ne è oggi l’ambasciatrice, la storia della pasta è un intreccio affascinante di supposizioni, che attraversano numerose culture.
Storia della pasta
Geronimo 27.07.2020, 11:35
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Contrariamente a quanto si possa pensare, la pasta non è solo una creazione del Mediterraneo, ma un cibo universale dalle origini incerte. A differenza del pane, di cui abbiamo tracce già nei siti archeologici neolitici, la pasta non ha lasciato testimonianze altrettanto evidenti. Nonostante il primato italiano, è stato dimostrato che molte civiltà hanno scoperto la pasta in modo autonomo, sviluppandola con ingredienti e tecniche proprie.
Che si tratti della versione occidentale o orientale, gli spaghetti sono probabilmente il formato di pasta più amato in assoluto. Assieme a “maccheroni” e “linguine”, parlano una lingua universale che non ha bisogno di traduzione.
La disputa sulle origini della pasta è antica e ha coinvolto per secoli la Cina e l’Italia, in particolare la Sicilia, dove si ritiene sia stata introdotta dagli arabi. Oggi sappiamo che la pasta si è sviluppata in modo indipendente in entrambe queste aree geografiche, ognuna con le proprie varianti di grano e con influenze gastronomiche e culturali distinte. È proprio questa versatilità a rendere la pasta un alimento senza confini, capace di adattarsi a ogni cultura e tradizione culinaria. Un esempio lampante sono gli “spaghetti with meatballs”, piatto iconico della cucina italoamericana, sconosciuto alle nostre latitudini ma radicato negli Stati Uniti. E che dire degli svizzerissimi Älplermagronen? Una specialità alpina a base di pasta che solo gli svizzeri conoscono.
Dalla pasta fresca agli spaghetti
La pasta nasce come un derivato del pane. Nell’antica Mesopotamia, si scoprì che l’impasto di farina e acqua poteva essere essiccato e consumato in un secondo momento: da lì, la pasta viaggiò dal Medio Oriente fino all’Impero Romano, dove gli arabi furono i primi a introdurre la pasta a lunga conservazione (pasta secca), destinata a diventare parte integrante della cucina italiana e di molte altre culture.
I primi spaghetti erano conosciuti come “vermicelli” e una delle testimonianze scritte più antiche risale al 1154, in una sorta di guida turistica arabo-siciliana. Il termine “spaghetto”, invece, è di origine più recente e si è diffuso negli Stati Uniti nell’Ottocento, insieme alla crescente abitudine di mangiare pasta.
Già nell’antica Roma, si preparava una sorta di pasta fresca chiamata “lagana”, un impasto di farina e acqua steso in larghe sfoglie, precursore della moderna lasagna. Tuttavia, è solo in epoca medievale che si delineano alcuni elementi decisivi per la costituzione della “moderna” categoria di pasta a cui ci riferiamo oggi. Sempre in quel tempo, infatti, non solo si riconosce la pasta con le sue diverse forme – larga, stretta, corta, lunga, forata o ripiena – ma si inizia a cucinarla bollendola in un liquido (acqua o brodo, talvolta nel latte), come facciamo tuttora.
La BBC e gli alberi di spaghetti in Ticino
Era il 1957 quando la BBC mandò in onda un breve documentario dal titolo “La raccolta degli spaghetti in Svizzera (The Swiss Spaghetti Harvest)“, nel quale si assiste a una vera propria raccolta di spaghetti da alberi piantati nei giardini di casa degli svizzeri italiani.
Uno dei pesci di aprile più riuscito di sempre: dopo la messa in onda, pare che la rete britannica venne sommersa di lettere e telefonate da parte di curiosi intenti a capire come coltivare la stessa pianta nel proprio giardino, o semplicemente dubbiosi della veridicità del servizio.
Al tempo, in Gran Bretagna, gli spaghetti erano ancora cosa “esotica”, motivo per cui lo scherzo riuscì decisamente bene. Quando si dice humor inglese…
Gli alberi di spaghetti
Telegiornale 31.03.2017, 22:00
La rivoluzione grazie agli arabi: la nascita della pasta a lunga conservazione
La vera rivoluzione arriva con gli arabi, che perfezionarono la tecnica di essiccazione della pasta per conservarla durante i viaggi nel deserto e la fecero diventare un prodotto commercializzabile. Le prime tracce di pasta secca risalgono al IX secolo e si diffusero rapidamente in Sicilia, dove, già nel XII secolo, esisteva un pastificio nella località di Trabia, vicino a Palermo. L’Italia divenne un terreno fertile per questa tradizione, grazie alla fusione delle influenze gastronomiche romane e arabe. Genova, nel frattempo, con i suoi mercanti, diventò un importante centro di produzione e distribuzione della pasta siciliana nel Nord Italia.
Nel corso del Quattrocento, nacquero altri poli di produzione: in Puglia, Sicilia, Liguria; mentre l’area padana (Emilia-Romagna, Lombardia e Veneto) rimase legata alla produzione domestica di pasta fresca, categoria anch’essa in enorme ascesa in quel tempo con la moltiplicazione di menzioni scritte su ricettari che riportano a numerosissimi tipi di pasta fresca ripiena o meno.
I “maccaroni” rinascimentali di Maestro Martino dalla Valle di Blenio
Un altro termine che spesso usiamo per la pasta è “maccheroni”, che indica in realtà vari formati. L’origine del nome è incerta, ma potrebbe derivare dal greco “makarìa”, un antico pasto greco a base di orzo, o dal verbo italiano “maccare”, ossia impastare.
Nel Quattrocento, è il ticinese Maestro Martino che per primo dà indicazioni tecniche per la preparazione dei “vermicelli” e dei “maccheroni siciliani”. La sua ricetta - contenuta nel suo storico e rivoluzionario ricettario Libro de Arte Coquinaria rappresenta una delle prime testimonianze del termine “maccheroni” come lo intendiamo oggi.
Napoli, i “mangiamaccheroni” e la svolta della pasta
La pasta iniziò a guadagnare un ruolo preminente a Napoli nel Seicento, grazie alla sua capacità di sfamare una popolazione in crescita a basso costo. Goethe, durante un suo viaggio partenopeo, racconta di come i maccheroni venissero serviti con una generosa quantità di formaggio e venduti per strada.
Maccheroni di ogni specie (…) si trovano ovunque e a prezzo mite. Vengono cotti nell’acqua e il formaggio grattugiato serve sia come grasso che come condimento
Goethe
Ecco che la pasta, al tempo, la si poteva trovare nei chioschi lungo le strade, e si mangiava con le mani, senza altro condimento se non il formaggio. Solo negli anni Trenta dell’Ottocento, con l’introduzione del pomodoro, la pasta napoletana evolse nella celebre versione al sugo che conosciamo oggi.
Nel frattempo, nel XVIII secolo furono proprio i napoletani a guadagnarsi l’epiteto di “mangiamaccheroni”, prima riservato ai siciliani. Classiche sono le immagini degli scugnizzi napoletani che mangiavano con le mani per strada maccheroni, con il capo rivolto all’indietro. Una celebre scena di Totò in “Miseria e nobiltà” insegna...
Impastata con i piedi, fino a metà Ottocento
Come racconta la studiosa italo-americana Julia della Croce, fino al XIX secolo la produzione di pasta era affidata a lavoratori che, a piedi scalzi, impastavano acqua e farina di frumento a ritmo di canzoni popolari suonate con il mandolino. Questa usanza pare durò finché il re di Napoli, Ferdinando II (1830-1859), decise di mettere fine a tale metodologia per fare spazio a produzioni, diciamo, più igieniche.
Spaghetto al pomodoro: emblema di una cucina che oggi chiameremmo “fusion”
Lo spaghetto al pomodoro è emblema dell’italianità nel mondo e icona della dieta mediterranea. Alla luce di quanto abbiamo svelato finora sulla pasta, però, è chiaro che lo stesso piatto si fa simbolo di quelle convergenze storiche, culturali e geografiche di cui la stessa pasta è figlia. Analizzando gli ingredienti di un semplice piatto di spaghetti, infatti, possiamo affermare con certezza che l’identità di un piatto divenuto nazionale italiano, trae le sue origini da storie che vengono da Medio Oriente, Sudamerica, Europa e persino dall’India: gli spaghetti, come già spiegato in precedenza, hanno radici asiatiche e influenze arabe; il pomodoro è giunto in Europa a metà del Cinquecento dal Sudamerica e solo nell’Ottocento possiamo attestare che inizi ad essere usato come condimento nella pasta al posto del classico, fino ad allora, formaggio; e che dire di qualche foglia di basilico, tocco verde e immancabile in un piatto di spaghetti al pomodoro, che giunge fino a noi dall’India grazie agli arabi e ai loro smerci di spezie.
Insomma, un piatto di spaghetti al pomodoro dovrebbe farci riflettere non tanto sulle origini di questa o quella ricetta - e di chi ne sia “padre” - bensì sul fatto che per formare l’identità di un piatto siano serviti incontri, viaggi e tanta vita sociale. La pasta, dunque, ha viaggiato tanto e a lungo, portando con sé la forza di mettere d’accordo tutti, diventando, allo stesso tempo, un piatto “patriottico” di un’unica nazione nel mondo.
Gli Älplermagronen, storia della pasta dei pastori svizzeri
La pasta arrivò nelle Alpi Centrali con gli operai italiani solo quando è stato costruito il tunnel del Gottardo e si prestava ad essere essere trasportata su lunghe distanze con facilità e leggerezza, per poi essere cotta con qualche tipo di grasso, verdure e legumi per un pasto soddisfacente. È il caso degli svizzerissimi Älplermagronen, ormai considerati un piatto tradizionale alpino.
I “magronen” venivano cucinati insieme a patate locali economiche, condita con cipolle, panna e formaggio. Il piatto era estremamente sostanzioso, facile da preparare ed era un’ottima ricompensa per la giornata di duro lavoro in montagna.
Domenica
Domenica 23.10.2022, 12:50
Fonti:
M. Liverani; Atlante di geogastronomia; Rizzoli, 2020
S. Serventi, F. Sabban; La pasta. Storia e cultura di un cibo universale; Laterza, 2004
M. Montanari, Il mito delle origini. Breve storia degli spaghetti al pomodoro, Laterza, 2019
M. Montanari, La fame e l’abbondanza – Storia dell’alimentazione in Europa, Laterza, 2005
A. Capatti, M. Montanari; La cucina italiana – Storia di una cultura; Laterza, 2005