Il cibo è un microcosmo completo che parla di noi, delle nostre comunità, e ne parla in modi plurimi e talvolta anche inaspettati, ma ha senso parlare di tradizioni e di identità gastronomiche?
La “cucina italiana”, per esempio - da un punto di vista storico e identitario - è vista nella società contemporanea come un’icona culinaria intoccabile, monolitica, un simbolo di gusto, tradizione e identità nazionale in tutto il mondo. Tuttavia, dietro questo concetto si nascondono sfumature e complessità che fino a poco tempo fa non venivano esplorate, se non in letture o lezioni specifiche di storia della cucina o dell’alimentazione.
Partiamo da un presupposto, più volte accennato sul nostro portale: parlare di “Cucina italiana” è sbagliato, sotto più punti di vista.
Bartolomeo Scappi (1500-1577) e la sua lungimiranza: la cucina regionale italiana
Quando si parla di storia della gastronomia e si cerca di delinearla riordinando i tasselli che i documenti scritti hanno lasciato, i nomi di riferimento per le basi della cucina moderna sono sicuramente Maestro Martino (1430 – fine XIV secolo) – il Principe dei cuochi, ticinese di origine, della Valle di Blenio – e Bartolomeo Scappi (1500 – 1577), cuoco “secreto” (personale) di ben sei papi, fino al suo ultimo importante servizio sotto il pontefice Pio V.
Scappi è l’autore di un’opera estremamente imponente - “Opera di Bartolomeo Scappi – Mastro dell’arte del cucinare”- composta da 6 volumi, riconosciuta come uno dei più completi libri di gastronomia del XVI secolo e della storia: in questo trattato, lo Scappi disegna un’immagine tendenzialmente completa del patrimonio culinario “italiano” dell’epoca. Il termine “italiano” viene scritto tra virgolette perché, come è ben noto al giorno d’oggi, non esiste una cucina italiana, bensì una cucina regionale italiana, fatta di prodotti, usanze e ricette che si differenziano da regione a regione, tra mescolanze di usi e costumi.
La percezione interregionale della cultura gastronomica italiana è un dato comune alla maggior parte della letteratura rinascimentale, anche al di fuori dei trattati culinari. lo Scappi, però, si differenzia proprio per la sua capacità di fotografare un territorio molto più ampio e senza soffermarsi su zone o regioni in particolare (come facevano invece molti suoi colleghi del tempo), dando risalto alla materia prima, all’ingrediente e al prodotto. Infatti, la lista di prodotti “a denominazione di origine” citati nelle ricette o nei menù di Scappi è lunghissima e comprende qualsiasi tipo di derrata: dai cereali, ai pesci, passando per frutta e verdura, prodotti da forno e carne; spesso conservati in modi innovativi per il tempo per essere trasportarti data la provenienza da diverse parti del territorio italiano, a testimonianza che è il mercato a costruire la trama di fondo della cultura gastronomica del Bel Paese, offrendo scambio di risorse e identità locali. Oggi - aggiungiamo noi - erroneamente ricondotte al concetto di “Cucina italiana”.
Come specifica Alberto Grandi, professore associato di Storia del cibo all’Università di Parma, autore di oltre cinquanta lavori tra articoli scientifici e monografie in Italia e all’estero: «La storia dell’alimentazione non è la storia di un alimento».
Alice Tognacci racconta la figura di Bartolomeo Scappi
RSI Food 07.09.2022, 10:02
“La cucina italiana non esiste”, il libro che fa discutere
Recentemente ha fatto scalpore il libro di Alberto Grandi, professore di Storia del cibo e presidente del corso di laurea in Economia e Management all’Università di Parma, e Daniele Soffati, dal titolo “La cucina italiana non esiste. Bugie e falsi miti sui prodotti e i piatti cosiddetti tipici”. I due autori, già padri del famoso podcast “DOI – Denominazione di Origine Inventata“, mettono in discussione proprio la concezione consolidata della cucina del Bel Paese, smontando il mito delle origini per rivelare come la cucina italiana sia in realtà il risultato di un intricato mosaico di influenze regionali, storiche e culturali, aprendo così nuove prospettive su uno dei patrimoni gastronomici più celebrati al mondo.
Il tema forte di questo libro è che non c’è nessuna invenzione assoluta e non c’è nessuna novità assoluta, in realtà. Io cerco di distinguere la storia dell’alimentazione dalla storia dell’alimento, perché se ci concentriamo sulla storia del singolo alimento, della singola ricetta, troviamo sempre qualche elemento precedente e va a finire che ci troviamo all’uomo di Neanderthal. Questa cosa in qualche modo va circostanziata, perché un conto è una cucina, un’identità, un modello alimentare, e un conto è la singola ricetta sulla quale poi potremmo trovare cose che però finiscono per spiegare troppo.
Alberto Grandi
Alberto Grandi, ospite ad Alphaville insieme ad Alberto Capatti, noto storico della gastronomia italiana e primo rettore dell’Università di Scienze Gastronomiche di Pollenzo, ha trattato l’argomento anche da un punto di vista identitario: quando e perché la gastronomia e l’identità nazionale hanno cominciato a sovrapporsi?
Dimmi come mangi
Alphaville 30.04.2024, 12:30
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E le origini? Ogni piatto ha davvero un punto preciso nella storia in cui è nasce?
Già Massimo Montanari, docente di Storia dell’alimentazione all’Università di Bologna e fondatore del Master “Storia e cultura dell’alimentazione”, spiega: «Il mito delle origini è quello che ci fa pensare che esista un punto magico della storia in cui tutto prende forma, tutto comincia e tutto si spiega; il punto in cui si cela l’intimo segreto della nostra identità. Ma perché quello delle origini è solo un mito? Il fatto è che le origini, di per sé, spiegano poco: l’identità nasce dalla storia, da come quelle origini si sviluppano, crescono, cambiano attraverso incontri e incroci spesso imprevedibili. Basta un piatto di spaghetti al pomodoro per spiegarlo.»
Ricercare le origini della nostra identità (ciò che siamo) non ci porta quasi mai a ritrovare noi stessi (ciò che eravamo) bensì altre culture, altri popoli, altre tradizioni, dal cui incontro e dalla cui mescolanza si è prodotto ciò che siamo diventati.
Massimo Montanari , dal libro “Il mito delle origini”
Lo stesso Alberto Grandi, nel suo libro, sfata miti relativi ai grandi classici della cucina cosiddetta italiana: dalla salsa di pomodoro - ingrediente base della cucina italiana che sostanzialmente gli italiani scoprono in America (prima di allora, in Italia, se ne faceva un consumo marginale e irrilevante dal punto di vista gastronomico), alla pasta (sì, anche della carbonara). Sfata anche il mito della paura che ha accompagnato per secoli molti alimenti, tra cui patate e pomodori, così come le innumerevoli narrazioni che legano personaggi storici ai nostri piatti.
Se c’è un elemento tradizionale nella cucina italiana è la capacità e la velocità del cambiamento di incorporare cose che arrivano da fuori. L’Italia ha questa attitudine ad incorporare tradizioni dall’esterno forse maggiore rispetto ad altri modelli alimentari. E quindi il paradosso è che noi, così attaccati alla tradizione, siamo quelli più aperti alle contaminazioni.
Alberto Grandi
Fonti:
A. Capatti, M. Montanari, “La cucina italiana, storia di una cultura”, Edizioni Laterza, 2005
M. Montanari, “Il mito dell’origine. Breve storia degli spaghetti al pomodoro”, Edizioni Laterza, 2019
M. Montanari, “Il sugo della storia”, Edizioni Laterza, 2021