La Svizzera da qualche tempo sta abbracciando una nuova passione: il sakè. La bevanda, per lo più conosciuta servita calda e a fine pasto, da qualche anno sta vivendo un momento di grande successo nel panorama gastronomico contemporaneo europeo perché rivalutata come eccellenza da gustare in abbinamento a piatti gourmet, servita fredda e trattata come un vino. Un fenomeno culturale e sociale, quello del sakè, che crea ponti tra usanze diverse, dimostrando, ancora una volta, il potere unificante della tavola e delle bevande.
Che cos’è il sakè?
Il sakè non è un distillato, come spesso si pensa, bensì una bevanda fermentata.
Conosciuto come una bevanda alcolica tradizionale giapponese spesso definito “vino di riso”, il sakè ha un processo produttivo che si avvicina più a quello della birra. Si ottiene dalla fermentazione del riso, grazie al Koji-kin, una muffa che viene aggiunta per convertire gli amidi del riso in zuccheri fermentabili. Il risultato è una bevanda dal gusto complesso, che può spaziare da secco e leggero a dolce e aromatico.
Esistono molte tipologie di sakè, che si distinguono per il grado di raffinazione del riso e per gli stili di fermentazione, come:
- Junmai: saké puro, senza aggiunta di alcol.
- Ginjo e Daiginjo: prodotti di alta qualità, con riso raffinato rispettivamente al 60% e al 50%.
- Nigori: saké non filtrato, dalla consistenza lattiginosa.
Il Koji-kin e come si produce il sakè
Il Koji-kin (nome scientifico: Aspergillus oryzae) è una muffa filamentosa appartenente al regno dei funghi utilizzata come starter per la fermentazione in diversi processi di produzione alimentare tradizionali asiatici, tra cui la realizzazione del sakè, del miso, del mirin, della salsa di soia e di altre specialità culinarie giapponesi.
Nel caso del sakè, il processo produttivo prevede l’iniziale cottura a vapore del riso e l’inoculazione con il Koji-kin, che cresce sui chicchi di riso. Questa muffa produce gli enzimi necessari per iniziare il processo di saccarificazione (trasformazione degli amidi in zuccheri).
Tale processo è chiamato koji-making e rappresenta il cuore della produzione del sakè.
Il sakè non è un super alcolico, ha un paio di gradi in più del vino bianco. Però, se servito a fine pasto quasi bollente, la percezione dell’alcol è più forte e non rappresenta affatto il mondo del sakè. Anche il colore è tendenzialmente simile all’acqua, quasi trasparente.
Cristina Volpi, Sommelier di sakè
La storia del sakè
Le origini del sakè risalgono a oltre 2000 anni fa, legate alla coltivazione del riso in Giappone. Nato come offerta agli dei durante i riti religiosi, si è evoluto nei secoli diventando parte integrante della vita sociale e culturale giapponese.
Durante il periodo Edo (che va dal 1603 al 1868 e rappresenta un’era della storia giapponese di grande crescita economica), la produzione di sakè subì un’enorme trasformazione: le tecniche di fermentazione furono raffinate e nacquero le prime grandi case produttrici. Il sakè si consolidò come bevanda simbolo delle celebrazioni e dei momenti conviviali.
Oggi, il Giappone produce oltre 1200 tipi di sakè in diverse regioni, ciascuna con il proprio terroir e tradizione. Proprio come il vino.
Il sakè nel panorama gastronomico contemporaneo elvetico
Il sakè è sempre più protagonista nella cucina internazionale, abbandonando l’immagine di bevanda esclusivamente legata al sushi e alla tradizione nipponica. Grazie alla sua versatilità, il sakè si presta ad accompagnare una vasta gamma di piatti, inclusi quelli europei ed elvetici.
Gli abbinamenti più usuali in base alle tipologie di sakè sono:
- Saké secco con piatti di pesce e crostacei.
- Saké dolce in abbinamento a dessert come mousse o cioccolato fondente.
- Saké corposo accanto a carni grigliate o formaggi.
Inoltre, chef e sommelier svizzeri stanno sperimentando abbinamenti portando il sakè fuori dai confini della cucina giapponese per abbinarlo a pietanze locali. Un esempio local è Cristina Volpi, che grazie alla sua grande passione per l’Asia è diventata sommelier di sakè e formatrice per la Sakè Sommelier Association, un’organizzazione con sede a Londra. A proposito di abbinamenti, è la stessa Volpi, durante una puntata de “Il Gioco del Luca” di Rete Tre, a raccontare: «Se andiamo sul cioccolato sicuramente sceglierei qualcosa nel mondo dei sakè invecchiati, mentre con i formaggi si può spaziare: si può partire da un formaggio fresco o di media stagionatura perfetto da accompagnare con un sakè più delicato, aromatico e floreale; se si va invece su un formaggio stagionato, si addicono i sakè invecchiati. Abbiamo fatto delle interessanti verticali anche con il Gruyère, per esempio, qualcosa che le persone non si aspettano».
Oggi, grazie a un approccio più moderno verso il mondo del sakè, ne esistono anche tipologie con le bollicine, con una gradazione alcolica tendenzialmente più bassa sui 7-8 gradi, perfetti per iniziare un aperitivo oppure per un brindisi. Insomma, un mondo che invito tutti a scoprire.
Saké: se ca l’è?
Il gioco del Luca 16.11.2024, 16:00
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