Ticino e Grigioni

Quando il part-time spinge

Aumentano i lavoratori a tempo parziale in Ticino - Il sindacato punta il dito contro una "esplosione dei contratti precari", il padronato ribatte: "È la risposta ai mutamenti della società"

  • 2 marzo 2023, 05:53
  • 20 novembre, 11:50
Il lavoro che muta nei tempi

Il lavoro che muta nei tempi

  • Keystone
Di: Spi/Diem 

Lavorare meno per lavorare tutti. I numeri dicono che in Ticino il vecchio slogan, rilanciato negli anni '90 da un libro del francese Guy Aznar, è cosa fatta a metà.

I dati elaborati dall’Ufficio cantonale di statistica (USTAT) mostrano infatti una significativa crescita negli ultimi due decenni dei lavoratori dipendenti a tempo parziale che sono passati dal 21,3% del 2002 al 31,7% del 2020 (ultimo dato disponibile). Il fenomeno risulta più marcato tra i residenti, dove il 35,4% rientra ormai in questa categoria (in pratica uno su tre).

L’analisi prende in considerazione il settore privato e si fonda sulla Rilevazione della struttura dei salari (RSS), che viene svolta a cadenza biennale tramite un questionario inviato in tutta la Svizzera a circa 47'000 imprese del secondario e del terziario per un totale di 2,1 milioni di lavoratori (RSS 2020). La statistica, cui le aziende sono obbligate a partecipare, mette a fuoco principalmente l’evoluzione dei salari, ma viene rilevato anche il grado di occupazione. È registrato come "tempo parziale" quando si situa al di sotto del 90%.

Negli ultimi due decenni nel canton Ticino i lavoratori a tempo pieno risultano percentualmente in calo. L’andamento concerne anche i frontalieri, il cui numero totale era di 32'595 all’inizio del periodo preso in esame, il 2002, e oggi si situa a 77'739 (quarto trimestre 2022). Anche tra i frontalieri, si diceva, sono cresciuti nella stessa misura i salariati a tempo parziale, passando dal 17,2% nel 2002 al 26,7% (ossia uno su quattro).

Questo il quadro, resta da capire se sia più fosco o più luminoso. "Dipende - è la risposta di Maurizio Bigotta, responsabile del settore Economia dell’USTAT -. Un lavoratore che decide, e ha la possibilità di farlo, di lavorare a tempo parziale per meglio conciliare la vita professionale offre una prospettiva positiva, mentre un lavoratore che pur volendo (per bisogno o volontà) non riesce a trovare un lavoro a tempo a pieno risulterebbe in una prospettiva più negativa".

In generale, continua l’economista, si nota una dinamica importante nel numero di lavoratori a tempo parziale: "Questi sono aumentati tra i residenti ma anche tra i frontalieri, anche se in termini di tassi la crescita la differenza tra i due gruppi non è così marcata". Un altro aspetto che emerge dai dati sui tempi di lavoro è che "il lavoro a tempo parziale è una caratteristica più femminile che maschile".

Sempre a tal proposito, secondo Maurizio Bigotta, "l’importante differenza tra frontalieri e residenti si può ricondurre alle donne frontaliere che nel 2020 erano per il 44% attive a tempo parziale, mentre le corrispettive residenti lo erano per il 58%. Tra i residenti e frontalieri uomini i tassi sono più simili e attorno al 17%".

Uno dei fattori da considerare in questo contesto è quello delle professioni e dei settori economici occupati dalle donne frontaliere rispetto alle donne residenti. "Le prime potrebbero essere maggiormente attive, rispetto alle seconde, in ambiti caratterizzati da una predominanza di lavori a tempo pieno come può esserlo il settore manifatturiero", sottolinea l’esperto dell’USTAT.

"È un segnale della precarizzazione"

I numeri indicano una chiara tendenza in atto nel mondo del lavoro, ma come ha chiarito anche l’economista dell’USTAT non fanno ancora luce sulle cause. "Bisognerebbe capire in che misura il lavoro a tempo parziale risponde a una richiesta, magari per conciliare professione e famiglia, oppure viene semplicemente imposto anche a chi vorrebbe lavorare di più - dice il sindacalista Giangiorgio Gargantini, segretario regionale di UNIA -. Sappiamo che purtroppo i numeri della sotto occupazione in Ticino sono sempre più alti. Il dato, secondo me, più importante è che oggi abbiamo quasi un terzo dei lavoratori che non lavora a tempo pieno e noi sappiamo che una maggioranza di loro vorrebbe lavorare di più. Ma non può perché sono esplosi negli ultimi anni i contratti precari e quelli a tempo limitato. Questo è un problema enorme che tocca tutti, residenti e frontalieri". Il precariato, aggiunge il rappresentante sindacale, "non è appannaggio di una categoria e chi insiste nel mettere in concorrenza indigeni e frontalieri mira a creare tensioni per nascondere il fatto che gli squilibri del mercato del lavoro riguardano tutti".

Un tempo si vaticinava un futuro in cui le macchine avrebbero regalato all’uomo più tempo libero per sé. Non è la fotografia del Ticino odierno, secondo Giangiorgio Gargantini: "Il problema forse più grosso nel nostro cantone sono i salari bassi. Che risultano ulteriormente erosi dal fatto che si lavora sempre di più a contratti parziali. Faccio solo l’esempio della grande distribuzione, dove ci sono situazioni che oscillano tra le 8 e le 20 ore, comunque al di sotto del 50%. Sono contratti precari che scaricano il rischio dell’azienda sui lavoratori, perché se c’è meno lavoro non ti chiamo. Mentre invece l’impresa dovrebbe prevedere anche che ci siano dei cali. Questo tipo di impiego, caratterizzato da uno scarico della responsabilità aziendale, è esploso nell’ultimo decennio. Ci fossero delle paghe corrette, invece, una parte della popolazione potrebbe scegliere di lavorare meno. Ma con i salari praticati in Ticino è già difficile vivere con un grado di occupazione piena".

"È la risposta a un mutamento della società"

È chiaramente diversa la lettura dei numeri da parte di Luca Albertoni: "Noi, anche dai nostri rilevamenti, non abbiamo nessuna indicazione che ci sia un’esplosione di contratti precari – dice il direttore della Camera di commercio -. Dal nostro osservatorio si tratta dell’espressione di un mutamento sociale e di richieste che vengono anche dai lavoratori e dalle lavoratrici di avere sempre di più tempi parziali. D’altra parte, come sottolineato da più parti, molte forze lavoro, in particolare femminili, escono dal mercato laddove non possono avere ricorso al tempo parziale".

Nell’ambito della responsabilità sociale delle imprese, continua Luca Albertoni, si sottolinea del resto la necessità di questa promozione: "C’è una richiesta forte da parte dei dipendenti che riflette un’evoluzione di società. Poi gli abusi ci sono sempre stati, ma rappresentano una parte molto minoritaria".

Su un altro aspetto sollevato dal segretario del sindacato UNIA, quello dei bassi salari che mal si concilierebbero a una richiesta di lavorare meno, il direttore della Camera di commercio sottolinea che "riguardano prevalentemente i frontalieri dove non è un caso che ci sia meno lavoro parziale. È una mia interpretazione, ma è così che leggo questi numeri. Per i residenti non vedo invece un nesso particolare tra salari e tempo di lavoro. Il motivo principale è chiaramente un’esigenza diversa della società".

Luca Albertoni conclude mettendo in luce un altro aspetto: "Il mondo imprenditoriale evidenzia sempre più una carenza di manodopera, sarebbe quindi illogico, anzi assurdo, che il lavoro ridotto fosse un’imposizione da parte delle imprese. In questo momento ci sarebbe anzi più interesse ad avere gente a tempo pieno".

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