Reportage

I coloni israeliani che vogliono tornare a Gaza

In Israele c’è chi ritiene troppo debole la risposta del Governo e chiede la fine di tutti gli aiuti e il via libera per ricolonizzare la Striscia

  • 8 giugno, 06:47
  • 25 settembre, 12:37
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Un momento delle celebrazioni dell'indipendenza di Israele

  • Keystone
Di: Sébastien Faure (RTS)/sf 

Tra chi cerca di bloccare l’arrivo degli aiuti nella Striscia di Gaza ci sono anche studenti di appena 12 anni che decidono di saltare la scuola. Buona parte arriva dagli insediamenti israeliani nella Cisgiordania, rileva un reportage di RTS. Degli adolescenti che sentono di avere una missione, di fronte a un Governo ritenuto troppo debole.

Se i camion dovessero passare “Hamas avrà più forza per combattere, non dobbiamo aiutare i nostri nemici”, spiega un giovane israeliano, che aggiunge: “Sono assassini, non se lo meritano. I civili dovrebbero semplicemente lasciare Gaza e andare in Egitto”.

Il reportage di Mise au point (RTS)

Di fronte a queste azioni la polizia resta praticamente indifferente. I camionisti invece si sottomettono a questi controlli non ufficiali, pena il rischio di vedere i loro mezzi attaccati, saccheggiati o bruciati.

“Sono ragazzini. Hanno il sostegno del Governo, della polizia e dei soldati. Vogliono fare i grossi davanti a noi. Ma io, se gli do un pugno, l’ammazzo” si lascia andare un camionista, prima di cambiare idea per non aggravare la situazione.

Gli avamposti si moltiplicano

A nord di Ramallah, in Cisgiordania, Yona Baranes si è stabilito su una collina. Il giovane abita in quello che viene definito un avamposto, ovvero un insediamento illegale, secondo gli accordi internazionali e anche le autorità israeliane, che hanno già demolito diversi edifici nella regione.

Il colono non vede perché non dovrebbe avere il diritto di abitare nell’avamposto. “Non abbiamo cacciato nessuno, era solo una collina abbandonata” si difende, aggiungendo che la sua presenza è garanzia di sicurezza nella regione. Secondo lui, è stato proprio il ritiro delle colonie ebraiche da Gaza nel 2005 a consentire gli attacchi di Hamas del 7 ottobre.

In occasione del 76esimo anniversario dell’Indipendenza di Israele, il 14 maggio, si è unito a migliaia di altri manifestanti per una marcia simbolica verso la Striscia di Gaza per chiedere di ritornarvi, consapevole però che una convivenza pacifica sarebbe complicata. “Dopo quello che abbiamo passato, sarà difficile perdonarci. Potrebbe essere possibile tra una o due generazioni”, spera.

Quel giorno, il corteo ha raggiunto un punto di incontro dove era previsto un discorso del Ministro della sicurezza nazionale Itamar Ben-Gvir. Esponente dell’estrema destra e residente in una colonia, sta esercitando pressioni sul Governo affinché Benjamin Netanyahu dia il via libera alla ricolonizzazione di Gaza. “La soluzione è incoraggiare la partenza degli abitanti di Gaza. Questa terra ci appartiene da sempre e per l’eternità”, ha proclamato tra gli applausi e l’entusiasmo della folla.

Quasi 600 famiglie pronte a ricolonizzare Gaza

Le prime famiglie candidate alla ricolonizzazione sarebbero già 600. È stata Daniella Weiss, soprannominata dalla sinistra la “diabolica nonna dei coloni”, a offrirsi di pianificare questa riconquista, assegnando a ciascuna famiglia un’area di insediamento. “Nachala”, il movimento di cui è segretaria generale, punta alla pulizia etnica di Gaza, come sottolinea al microfono di Mise au point.

“Anche se fosse il loro Paese, hanno perso il diritto di viverci. Senza contare che è una guerra e, in ogni guerra, ci sono dei rifugiati”, giudica Daniella.

“Un paradiso” da riconquistare

La famiglia Safer è una delle candidate alla partenza. Prima degli accordi di pace di Oslo e dello smantellamento degli insediamenti nel 2005, Myriam, la madre, viveva in un insediamento ebraico a Gaza, dove è cresciuta.

“Oggi tutto ciò che si vede a Gaza è povertà e combattimenti, ma era il posto più incredibile della Terra, il paradiso”, afferma. Per lei vivere lì è un suo diritto e la convivenza con i palestinesi non sarebbe un problema. “Prima vivevamo lì tutti insieme. Non c’è motivo per cui non possiamo tornare indietro. Chiunque sia disposto a vivere sulla nostra terra con le nostre regole è il benvenuto” sostiene.

Un terzo degli israeliani favorevole alla ricolonizzazione

Solo un terzo degli israeliani è però favorevole alla ricolonizzazione di Gaza. L’attivista israeliano Guy Butavia è contrario a questa idea. Ogni mattina riunisce una piccola squadra di volontari per cercare di proteggere i palestinesi dai coloni, in particolare nella regione di Hebron, in Cisgiordania, uno dei punti caldi. Dal 7 ottobre, gli attacchi dei coloni e gli insediamenti illegali hanno subito una notevole accelerazione. L’ONU ha registrato quasi mille attacchi in sei mesi.

Un giorno, Guy Butavia fu chiamato da Hossein Nawaja, un contadino palestinese. Un colono si è avvicinato troppo a casa sua, anche se la zona è chiusa agli israeliani. Sentendosi minacciato, non osa più raccogliere le sue olive che crescono a poche decine di metri da casa sua. “Un mese fa sono venuti e ci hanno lanciato delle pietre. Sono stato colpito a una gamba. Stanno cercando di approfittare dell’occupazione per cacciarci dalla nostra terra e impossessarsene”, lamenta il contadino.

Senza contare che dall’inizio della guerra è diventato difficile distinguere tra soldati e coloni armati. “Migliaia di coloni hanno ricevuto armi e uniformi. Agiscono ufficialmente con l’autorità di soldati, ma sono miliziani. La loro motivazione di scacciare i palestinesi dalle loro terre può ora essere attuata sotto la copertura dell’autorità ufficiale”, si rammarica Guy Butavia.

I coloni in questione, che la squadra di Mise au Point è riuscita ad avvicinare, si difendono. “Non li attaccheremo. Ma se qualcuno viene verso di noi, dobbiamo fare quello che dobbiamo fare per la sicurezza del nostro villaggio”, afferma uno di loro.

L’articolo originale è stato pubblicato da RTS e tradotto dalla redazione di “dialogo”, un’offerta della SSR che propone contenuti da tutta la Svizzera tradotti in tutte le lingue nazionali e in inglese, oltre a uno spazio di dibattito, anche questo tradotto e moderato.

Nell’ambito dell’offerta “dialogo”, la SSR ha lanciato un grande sondaggio nazionale per scoprire come si sente la popolazione e cosa la preoccupa nella vita di tutti i giorni. La partecipazione al sondaggio è anonima e le risposte saranno trattate in modo confidenziale.

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A Gaza continua il dramma dei civili

SEIDISERA 03.06.2024, 18:47

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