Lo scorso anno, il 17,8% delle persone tra i 65 e i 74 anni in Svizzera lavoravano, secondo i dati dell’Ufficio federale di statistica (UST). Alcuni lo fanno per scelta, un modo per mantenere i legami con una parte importante della loro vita, ma per altri è una necessità per arrivare alla fine del mese.
Sono ormai due anni che Florian Röcker torna regolarmente al centro di smistamento della Posta a Daillens (VD), dove aveva finito la sua carriera dopo più di 45 anni passati nell’azienda. In pensione anticipata da due anni, ha colto al balzo l’occasione quando ha saputo che si cercavano guide per le visite al centro di smistamento, dove ha la possibilità di rivedere i suoi ex colleghi. Ogni visita gli fa incassare un centinaio di franchi per tre ore di lavoro, ma è il lato sociale più che quello economico che interessa al pensionato.
L’esperienza di Florian Röcker (basik, RTS, 18.11.2024)
La sua disponibilità è vantaggiosa anche per l’azienda, sottolinea Domingo Olaya, responsabile tecnico del centro di Daillens, che ha così una persona a disposizione in caso di bisogno e che nel corso delle visite può fare affidamento alla sua esperienza personale.
A Daillens, Röcker è l’unico pensionato che lavora per la Posta, ma sono circa un migliaio quelli impiegati a livello nazionale dall’azienda, una delle poche in Svizzera che rivendica una politica di impiego dei pensionati.
Soluzione alla penuria di manodopera
In media in Svizzera un terzo dei 65enni lavora e a 75 anni c’è ancora un 15% di uomini e un 7% di donne attive sul mercato del lavoro, secondo i dati dell’UST. Delle cifre che alcuni vorrebbero vedere aumentare, come l’Unione svizzera degli imprenditori.
Secondo Marco Taddei, responsabile della Svizzera romanda, i pensionati sono una forza lavoro indispensabile nella situazione attuale: “Siamo in un contesto di penuria di manodopera con una dimensione storica senza precedenti in Svizzera e una dimensione strutturale legata all’invecchiamento della popolazione. Vorremmo che chi può possa continuare a lavorare più a lungo, su base volontaria”.
Con l’ultima riforma dell’AVS, i pensionati possono costare meno ai datori di lavoro perché i contributi sociali diminuiscono dopo i 65 anni: vengono eliminati i contributi per 2° pilastro e disoccupazione, e i contributi AVS hanno una franchigia di 1’400 franchi al mese o 16’800 franchi all’anno. L’Unione svizzera degli imprenditori ritiene che questa soglia costituisca un ostacolo all’assunzione di pensionati. «Vorremmo che venisse alzata o semplicemente rimossa», rileva Taddei.
Ostacoli all’assunzione
Giocando d’anticipo sul bisogno di lavoratori, l’agenzia interinale Activis si è specializzata nel collocamento di pensionati. Alla guida da un anno, Frédérique Béguin constata una forte domanda, con oltre 850 persone iscritte in un anno, ma rileva anche la difficoltà a trovare aziende disposte ad assumere dei pensionati. “La reazione è ancora timida, le imprese non sanno come trattarli, non hanno l’esperienza e forse ci sono dei preconcetti”.
L’agenzia informa sempre i datori di lavoro sul minor costo dei pensionati, ma questa non sembra un’argomentazione sufficiente. “Abbiamo firmato qualche contratto, ma meno di quanto sperato” spiega Béguin.
Delle difficoltà confermate da uno studio condotto quest’anno da Pro Senectute e dal suo programma “AvantAge”. Alla domanda se fossero disposte ad assumere un impiegato tra i 55 e i 59 anni, il 6% delle imprese romande hanno risposto di no, ma per la fascia oltre i 65 anni, il 52% si rifiuta. Un risultato spiegato in parte dai pregiudizi sugli anziani, prosegue lo studio. Si temono, ad esempio, problemi di salute, costi superiori o difficoltà con l’informatica.
Béguin sensibilizza le aziende sull’assunzione di pensionati, ma consiglia ai futuri pensionati di parlare prima con il loro datore di lavoro per valutare la possibilità di restare più a lungo in azienda.
I pensionati piazzati da Activis sono nella maggior parte dei casi qualificati e lavorano nel settore terziario. Una realtà completamente diversa dagli altri settori, come sottolinea René Knüsel, politologo specializzato in invecchiamento all’Università di Losanna. “Si tratta spesso di lavori fisicamente impegnativi e che non si possono più svolgere a 70, 75 o 80 anni. Probabilmente un terzo delle persone che continuano a lavorare, o ancor di più, continuano perché non hanno scelta”, indica.
Non è una scelta per tutti
Monique Buchs è una di quelle pensionate che non hanno scelta. Una o due volte alla settimana indossa il dzaquillon, abito tradizionale friburghese, per lavorare in un ristorante di Gruyères. Oggi ha 71 anni e lavora da quando ne aveva 15: prima come apprendista in una fabbrica di orologi, poi nel settore alberghiero e della ristorazione. Arrivando alla pensione, si è resa di non avere un reddito sufficiente per continuare a vivere. “Quando ho visto le prestazioni dell’AVS e del 2° pilastro mi sono detta che non potevo vivere. Cosa si fa con 2400 franchi al mese? (…) Paghi l’affitto, la cassa malati, e va tutta l’AVS. Poi ti restano 600 franchi per tutto resto”.
La testimonianza di Monique Buchs (basik, RTS, 18.11.2024)
Il suo capo, Beat Buchs, accetta di mantenerla nella posizione che ha ricoperto per 17 anni dopo il suo pensionamento. “Cerchiamo di risparmiarla il più possibile, di prenderla nelle giornate un po’ più tranquille, meno nei fine settimana”, spiega e aggiunge: “Non riesco a capire come possa ancora lavorare così, ha un morale d’acciaio”.
Monique non sa fino a che età continuerà a lavorare, ma prevede già problemi di salute. “Finché non hai problemi di salute, stai bene. Il giorno in cui hai problemi di salute, diventa molto più difficile.”
Donna con un basso livello di istruzione e proveniente da un ambiente rurale, Monique combina fattori che aumentano il rischio di povertà. Come lei, in Svizzera sono quasi 300’000 le persone che non possono godersi una meritata pensione.
L'ereditarietà della povertà
SEIDISERA 18.11.2024, 18:00
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