“Andavo spesso nei campi di fragole nel nord di Gaza, dove vivevo, con i miei bambini, mia moglie e degli amici. Mi piaceva anche andare al mare. Era l’unico posto dove si poteva guardare lontano senza le barriere costruite da Israele”.
Sono le parole, cariche di nostalgia, di Mosab Abu Toha.
Lui, 31 anni, è un autore palestinese. E la vita di tutti i giorni gli offriva gli spunti per le sue poesie. Il suo libro d’esordio “Cose che puoi trovare nel mio orecchio”, è stato premiato anche negli Stati Uniti, Paese dove è nato uno dei suoi figli.
Il 7 ottobre, come successo a milioni di persone, la sua vita è cambiata dopo il sanguinoso attacco perpetrato da Hamas contro lo Stato ebraico e la risposto israeliana che, con massicci bombardamenti e un’operazione di terra, ha causato decine di migliaia di morti nella Striscia di Gaza.
“Dopo il 7 ottobre Israele ha iniziato a bombardare case e campi. Il 12 ha iniziato a lanciare volantini per dire di evacuare l’intera città di Beit Lahia. Dove potevamo andare? Ci siamo rifugiati nel campo profughi di Jabalia, dove è nata mia madre. Due settimane dopo, la nostra casa è stata bombardata”, racconta in un’intervista rilasciata al Telegiornale.
Il passaporto americano del figlio più piccolo ha permesso alla sua famiglia di essere inserita nella lista dei pochissimi a cui era consentito lasciare la Striscia. Ma nel viaggio, Mosab è stato prelevato dall’esercito israeliano.
Prima l’arresto, poi le botte, infine il rilascio
“C’era un carro armato nel mezzo di Salah Aldin Street, la strada che collega il nord e il sud di Gaza, i soldati israeliani che ci puntavano le loro armi contro mi hanno fatto uscire dalla fila indicandomi come il ragazzo con lo zaino nero. Io mostravo il passaporto americano di mio figlio e i nostri palestinesi. Poi mi hanno chiesto di spogliarmi del tutto davanti a tre soldati. Mi hanno ammanettato e portato via. Un ufficiale israeliano mi ha interrogato chiedendomi se fossi un attivista di Hamas. Gli ho risposto di no.”
Mosab ha raccontato alla RSI di essere stato portato insieme ad altri palestinesi in un sito militare in Israele, dove è rimasto ammanettato e bendato per 3 giorni: “Un soldato mi ha dato un calcio in faccia, qui, e un altro nello stomaco, sarei potuto morire”.
Infine, i soldati hanno parlato di un errore, si sono scusati e lo hanno riportato a Gaza, dove ha potuto proseguire il viaggio con la sua famiglia per raggiungere il Cairo, dove si trova ora.
È riuscito a fuggire dall’inferno della Striscia, a cui, tuttavia, non smette di pensare. “Cosa mi manca di più di Gaza? La mia bicicletta, i campi di fragole. Mi mancano tre amici, due in particolare, che sono stati uccisi da Israele. Mi mancano i miei genitori. Ma una delle cose che mi mancano di più è la mia stanza dei libri, la scrivania dove scrivevo poesie e leggevo.”