Il tentativo di mediazione per mettere fine ai combattimenti in Sudan non sta funzionando. I bombardamenti e gli scontri proseguono nella capitale Khartum e in altre città. Siamo al terzo giorno consecutivo e si contano già un centinaio i morti tra la popolazione civile, i feriti sono più di un migliaio.
Nella capitale sudanese carri armati, pickup sormontanti da mitragliatori, aerei da combattimento si stanno affrontando in aree densamente popolate, da qui l'alto numero di vittime tra i civili. "Non è la nostra guerra, sono dei pazzi che devono almeno lasciar passare le ambulanze" dichiarava stamane un medico raccontando di ospedali nel caos e spesso senza elettricità.
I pazzi ai quali si riferisce sono due ex alleati alla guida della giunta militare: il generale Abdel Fattah Abdelrahman al-Burhan, capo delle forze armate e numero uno della giunta, e il generale Mohamed Hamdan Dagalo, capo dei paramilitari noti come Forze rapide di supporto e numero due del regime. I due erano impegnati in negoziati per il ritorno alla democrazia, costretti in questo dalla comunità internazionale. Invece è scoppiata una nuova guerra civile.
“Quello che contraddistingue la vita politica di questo paese, è la costante presenza di militari ai vertici dello Stato”, spiega alla RSI il professor Jean Léonard Touadì, docente di geografia economica dell'Africa all'Università Sapienza di Roma. “La situazione che si sta vivendo ora era nell’aria, perché negli scorsi giorni si sarebbe dovuto firmare un accordo per aprire un processo politico per il ritorno dei civili al potere. Ma la firma è stata continuamente rinviata proprio a causa del disaccordo tra l’esercito regolare e il capo delle forze di supporto rapido Mohamed Hamdan Dagalo, detto Hemedti”.
A destra, il generale Mohamed Hamdan Dagalo, detto Hemedti, capo dei paramilitari
Un disaccordo che ha fatto precipitare la situazione, e che riguarda in particolare l'integrazione delle forze paramilitari nell'esercito. Ma chi sono questi due leader, come si finanziano, di quali appoggi esterni godono? “Il mantenimento in Sudan dello statu quo da parte dell’esercito, dipende proprio dal controllo che le forze armate hanno dei gangli strategici dell’economia sudanese – spiega ancora il professor Touadì – I militari in Sudan sono un “deep State”, uno stato profondo che controlla l’economia, con aziende attive in vari ambiti. Abdel Fattah Abdelrahman al-Burhan (generale, politico e presidente del Consiglio Sovrano di Transizione, de facto capo di Stato del Sudan dopo il colpo di Stato del 25 ottobre 2021, ndr.) è il garante di questo sistema, ed è sostenuto da Cina, Egitto e Arabia Saudita. I militari non vogliono quindi che si cambino le loro posizione nell’economia sudanese”.
Al Burhan non aveva però fatto i conti con Dagalo, il capo delle Forze di supporto rapido, eredi delle famigerate milizie arabe a cavallo Janjawid, responsabili della pulizia etnica in Darfur per conto dell'ex dittatore Al Bashir, infiltrate dai jihadisti, ma soprattutto sempre più legate ai mercenari russi della Wagner...
Dagalo è sostenuto dalla Russia e dagli Emirati Arabi, puntualizza l’esperto, “Paesi che sono desiderosi di sfruttare le risorse naturali del Paese e anche la sua posizione strategica: Mosca vorrebbe avere un’apertura sul Mar Rosso. C’è un intreccio molto torbido tra affari, vendita di armi e ricerca di una posizione strategica e sfruttamento di materie prime. E per quanto riguarda il Sudan, gli interessi di Russia e Cina non coincidono: Pechino sostiene Abdel Fattah Abdelrahman al-Burhan, mentre Mosca tramite Wagner sostiene Mohamed Hamdan Dagalo, detto Hemedti”.
Vittima di questa situazione è la popolazione civile, che tante speranze aveva suscitato nel 2019, quando mobilitandosi aveva portato alla cacciata del dittatore Omar Al Bashir e all'avvio di una transizione democratica brutalmente fermata dal colpo di stato del 2021 ad opera dei due generali in questione.