Il numero di persone uccise negli scontri tra le forze armate e le Forze di supporto rapido (RSF) in Sudan è salito a 56. I feriti sono 595. E' quanto dichiara su Twitter il Comitato centrale dei medici sudanesi. Nella capitale Khartum ci sono stati 25 morti e 302 feriti. Tra le vittime ci sono sia civili sia militari. Alle prime ore di oggi, domenica, dopo una giornata, quella di ieri, di intensi combattimenti tra le fazioni opposte risulta molto complicato capire quale sia la reale situazione in Sudan visto che non è chiaro chi controlli cosa e le affermazioni vittoriose dei paramilitari sono state smentite dal capo delle forze armate e leader di fatto del Sudan, il generale Abdel Fatah al Burhan.
Le Forze di Supporto Rapido (RSF) - migliaia di ex-militanti della guerra del Darfur diventati ausiliari dell'esercito comandati da Mohamed Hamdane Daglo - hanno dichiarato di controllare la residenza presidenziale, l'aeroporto di Khartum e altre infrastrutture chiave. L'esercito regolare, agli ordini del generale Abdel Fattah al-Burhane, nega che i miliziani si siano impossessati dello scalo internazionale della capitale ma ha affermato che le RSF hanno dato alle fiamme alcuni aerei civili.
In un comunicato l'esercito sudanese ha inoltre chiesto alla popolazione di rimanere a casa, mentre proseguivano gli attacchi aerei contro le basi paramilitari. Per tutta la giornata di ieri sabato e anche alle prime ore di oggi si sono frattanto moltiplicati gli appelli al cessate il fuoco: dall'ONU, da Washington, da Mosca, da Parigi, da Roma, da Riyadh, dall'Unione Africana, dalla Lega Araba, dall'Unione europea e persino dall'ex primo ministro Abdallah Hamdok. Per ora però, senza successo.