L’esercito israeliano ha annunciato mercoledì mattina di aver dichiarato lo stato di allerta lungo la frontiera con il Libano. E questa è soltanto una delle misure prese dopo l’uccisione a Beirut, martedì sera, di Saleh al Arouri, numero due di Hamas, e di altri 6 palestinesi. Un attacco condannato dal ministro degli esteri iraniano e definito “una codarda operazione terroristica”. Il ministro ha poi aggiunto che Israele costituisce un serio problema per la sicurezza di tutti i Paesi della regione. Un timore espresso anche dal ministro degli esteri libanese, che ha definito l’uccisione di al Arouri un tentativo di espandere la guerra contro Hamas in una guerra “regionale” e ha invitato Hezbollah a non rispondere all’attacco. Per Hamas, Israele dovrà invece assumersi le sue responsabilità.
Per cercare di capire le possibili conseguenze di quanto accaduto, la RSI ha chiesto il parere di Ugo Tramballi, analista dell’ISPI.
“Sono quasi tre mesi che il rischio di un’escalation è presente, ma in questi tre mesi non è successo. È fin dall’inizio della guerra di Gaza (da quando gli israeliani hanno cominciato a bombardare, poi ancora di più da quando sono entrati con le truppe di terra) che c’è il rischio di un’escalation. Israeliani a nord e libanesi Hezbollah nel sud del Libano si confrontano regolarmente, quasi quotidianamente, mantenendo una forma di conflitto a bassa intensità, che serve a tutti e due per rivendicare comunque un ruolo, ma non credo che questo possa accadere, sebbene in questa situazione qualsiasi incidente può provocare un’escalation che nessuno saprebbe fermare”, spiega Ugo Tramballi, analista dell’ISPI.
Però va detto che il Governo israeliano ha detto di essere pronto a qualsiasi scenario. Come possiamo interpretare queste parole?
“Forse Israele è quello che più ha interesse a un’escalation, soprattutto Netanyahu. Abbiamo visto che l’altro giorno la Corte suprema ha di nuovo posto il problema dei limiti del potere che Netanyahu dovrebbe avere. Netanyahu rischia anche la galera, perché è perseguito da tre accuse di corruzione. Il Paese lo detesta. Mentre il Paese è unito nel partecipare al conflitto (la solita, tradizionale unione ogni volta che Israele si sente in pericolo), ma tutti i sondaggi dicono che Netanyahu è l’uomo più detestato di Israele. Quindi il pericolo è che Netanyahu provochi l’escalation”.
L’altro grande timore è che l’escalation possa partire dai libanesi di Hezbollah, grandi alleati di Hamas...
“Hezbollah dipende dall’Iran, non può fare guerra a Israele senza l’OK dell’Iran. Quindi se l’Iran non intende allargare il conflitto, nemmeno Hezbollah può. Hezbollah poi non può non tenere conto del fatto che il Libano è con l’acqua alla gola dal punto di vista economico. Non c’è un governo eletto, non c’è un presidente eletto, il Paese è in una paralisi pericolosissima, simile a quella dei tempi dei 15 anni di guerra civile. Quindi Hezbollah non può non tener conto che quello che resta del Governo libanese gli chiede di non allargare il conflitto perché sarebbe devastante per il Paese”.
Il Politburo di Hamas
Il Politburo è di fatto il governo di Hamas. Prende decisioni politiche e sociali riguardanti il movimento e le aree che controlla, ed è composto da 15 membri scelti da un altro organismo, altrettanto importante, il Consiglio della Shura, che supervisiona l’operato del Politburo e ne coordina l’operato con l’ala militare di Hamas, diventata negli ultimi tempi potente.
Il Politburo ha anche un altro compito importante, è quello di tenere i contatti con Iran, Turchia, Qatar ed Egitto e dal 7 ottobre gestisce anche le discussioni sul cessate il fuoco, la liberazione degli ostaggi, ma sempre sotto il controllo del Consiglio della Shura.
Saleh al Arouri era il numero due del Politburo di Hamas, era il vice di Haniyeh, ma forse rivestiva un ruolo addirittura più importante di Haniyeh, perché aveva forti legami anche con l’ala militare di Hamas. Al Arouri era nato a Ramallah, dunque proveniva dalla Cisgiordania, dove secondo i media israeliani ha avuto un ruolo centrale nel far crescere militarmente il movimento islamico. Viveva in Libano, dove curava i rapporti con il ramo libanese di Hamas, con Hezbollah e ovviamente con l’imprescindibile alleato iraniano.
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