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“Per uscire dal bunker ho dovuto camminare sui morti”

Le testimonianze di due israeliani, sopravvissuti all’assalto dei miliziani di Hamas del 7 ottobre. Yuval Raphael: “È una forma di terapia per me parlare di quel giorno, ma è anche un obbligo durissimo, doloroso”

  • 20 dicembre 2023, 05:51
  • 20 dicembre 2023, 16:01

Testimonianza drammatica

Telegiornale 19.12.2023, 20:00

Di: TG/RSI Info

Yuval Raphael ha 23 anni. Il 7 ottobre scorso è sopravvissuta alla strage al festival musicale Nova, dove più di 350 giovani sono stati uccisi dai miliziani di Hamas. Anche Shmuel Moha è un sopravvissuto. Il kibbutz Nirim, dove abitava con la sua famiglia, è stato preso d’assalto, quello stesso giorno. Entrambi sono venuti a Zurigo per raccontare la loro storia a una manifestazione contro l’antisemitismo, lunedì sera, e in un incontro al centro della comunità israelita.

“È una forma di terapia per me parlare di quel giorno, ma è anche un obbligo, durissimo, doloroso”, spiega Yuval Raphael. Quando i miliziani di Hamas attaccano il festival di Nova, Yuval scappa con quattro amiche in un rifugio antiaereo sulla strada. Ci sono decine di giovani stipati in quel piccolo bunker senza porta. Un’ultima telefonata con il padre. Gli assalitori scoprono i giovani, aprono il fuoco. Yuval, seguendo quanto le aveva detto il padre, si finge morta fra le molte altre persone già uccise che la coprono in parte. “Devo la mia vita a quelle persone eccezionali che non potevano più proteggere se stesse perché erano state uccise, ma che con il loro corpo hanno salvato me”, racconta Yuval. Otto ore di angoscia in quel bunker, ricorda Yuval. “I terroristi continuavano a tornare, sono entrati sei-sette volte. E ogni volta uccidevano altre persone”.

Dei 45 giovani nel rifugio solo undici riescono a sopravvivere. Yuval ricorda ogni dettaglio di quell’orrore. Anche di quando viene finalmente salvata. “Il rifugio era così piccolo, con così tante persone stipate lì dentro, che non c’era più suolo dove posare i piedi. Per uscire ho dovuto camminare sui morti”.

Shmuel Moha ha visto invece gli assalitori penetrare nella sua casa. Si rifugia in una stanza con la moglie e il figlio di due mesi. Un miliziano cerca di abbattere la porta. Shmuel riesce a resistere, ma l’assalitore chiama rinforzi. “Io non sono un combattente, non avevo armi, sono un ingegnere informatico. Improvvisamente ho pensato di usare la app sul telefonino per aprire di colpo tutte le tapparelle di casa. Con la luce improvvisa, gli assalitori sono scappati, forse hanno pensato che stavano per arrivare i soldati israeliani”. Shmuel mostra immagini del suo piccolo kibbutz dopo l’attacco. Cinque persone sono state uccise, altre sono state prese in ostaggio. “Questo è il mio caro amico Nadav. È ostaggio a Gaza da 74 giorni, è diabetico, è stato rapito con sua madre, nel frattempo liberata. Anche Yaghev è ancora prigioniero di Hamas, sua moglie Rimon è invece stata rilasciata.”

I due giovani affermano che con la loro testimonianza vogliono dare un volto, anche in Svizzera, alla tragedia che ha colpito e traumatizzato Israele il 7 ottobre scorso e che ha scatenato la guerra.

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