Dopo il lungo stallo cominciato lo scorso ottobre a causa degli screzi tra i democratici del presidente Joe Biden e i repubblicani del suo prossimo sfidante alla Casa Bianca Donald Tump, la Camera dei rappresentanti a Washington ha dato il via libera al pacchetto di aiuti militari e finanziari per l’Ucraina. La legge deve ancora passare al Senato ed essere controfirmata dal capo dello Stato, ma si tratta a questo punto di formalità. A Kiev Volodymyr Zelensky ha tirato un sospiro di sollievo, ringraziando gli Stati Uniti e dicendosi fiducioso nella vittoria finale dell’Ucraina nel conflitto con la Russia. Il presidente spera che le nuove forniture statunitensi possano raddrizzare la situazione sul terreno, peggiorata negli ultimi mesi con le truppe di Mosca che spingono lungo tutta la linea del fronte, stabilizzando le difese nel Donbass e sul fronte meridionale, tra le regioni di Zaporizhia e Kherson, per poi passare al contrattacco seguendo gli obbiettivi ancora dichiarati, quelli cioè di ristabilire i confini del 2014.
Il pacchetto approvato negli USA è a prima vista imponente, se si conta appunto che nei primi due anni di guerra Washington ha già supportato Kiev con oltre 70 miliardi di dollari. Adesso ne sono in arrivo 61, di cui 13 in aiuti militari diretti, cioè per armamenti che finiranno subito in Ucraina. Il resto è diviso soprattutto per denaro che servirà a ricostituire le scorte statunitensi, 23 miliardi, 11 sono per l’addestramento delle forze ucraine e 9 per assistenza economica che dovrà essere rimborsata. Il nodo principale rimane da un lato la tempistica, dall’altro la qualità, cioè effettivamente quando e cosa arriverà al fronte: se parte delle nuove forniture è già pronta al confine polacco per essere consegnata, le richieste di Kiev che riguardano missili a lunga gittata come gli Atacms con un raggio di 300km non verranno però ancora soddisfatte.
Il problema in questo caso è politico, speculare a quello dei tedeschi Taurus, sull’invio dei quali Berlino continua a porre il veto, dato che da parte occidentale si teme un’ulteriore escalation se l’Ucraina avesse la possibilità di colpire con regolarità e precisione direttamente in territorio russo. Lo stesso discorso riguarda i caccia da combattimento F16 promessi già lo scorso anno e per ora rimasti a terra, fuori dall’Ucraina. In ogni caso il quadro per Kiev di fronte all’offensiva russa nel Donbass rimarrà ancora incerto e complicato per i prossimi mesi e il capo dell’intelligence militare Kirill Budanov ha ammesso che le forze ucraine si apprestano ad affrontare da maggio in avanti una fase difficile, anche se non catastrofica.
Se nella cornice della guerra di logoramento e con il nuovo pacchetto di aiuti è improbabile un crollo improvviso del fronte ucraino, resta comunque da vedere quale sarà la tattica russa nell’offensiva della primavera avanzata. Dal Cremlino è stato fatto sapere che gli obbiettivi non sono cambiati, cioè le truppe russe puntano ad allargare il perimetro dei territori del Donbass e delle altre regioni al sud già conquistati e gli sforzi si stanno concentrando a sud di Kharkiv, con la seconda città del paese che rimane nel mirino di Mosca. Zelensky ha dichiarato che la Russia vorrebbe conquistare la roccaforte di Chasiy Yar entro il 9 maggio, data della fine della Seconda guerra mondiale e della vittoria sovietica ed alleata sul nazifascismo, ma al di là delle date simbolo e della retorica, ripetuta gli anni passati per Mariupol e Bakhmut, l’avanzata delle forze russe è indipendente dagli anniversari storici: il Cremlino gioca su altri tempi e gli obbiettivi maggiori sono quelli più a ovest, Sloviansk e Kramatorsk.
A meno di due mesi dalla Conferenza sulla pace che si terrà in Svizzera, Russia e Ucraina paiono ancora dunque concentrate sul proseguimento del conflitto nella speranza di poterlo risolvere a loro favore. Resta da vedere quando e quanto la nuova iniezione di armamenti e finanziamenti riuscirà davvero a modificare la posizione di Kiev in tempi brevi, proprio in vista dell’appuntamento del 15 e 16 giugno sul Bürgenstock. In assenza di una rappresentanza di Mosca, Zelensky punta molto a rafforzare il fronte diplomatico antirusso: nel caso di un riequilibrio sul terreno di guerra, le chance in questo senso sarebbero maggiori che nel caso di un peggioramento, che causerebbe invece un indebolimento del presidente e della sua capacità di promuovere una road map per la pacificazione alle condizioni volute.
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