Coronavirus

COVID-19, cinque anni dopo

Ripercorriamo gli eventi chiave della pandemia, le risposte sanitarie, l’impatto economico e sociale e le nuove misure per un futuro più preparato

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Wuhan, cinque anni dal covid

Telegiornale 23.01.2025, 12:30

Di: ATS/Tieffe 

Esattamente cinque anni fa, in Cina, iniziava il primo lockdown di massa della storia. Il 23 gennaio 2020, di fronte alla diffusione di un virus ancora sconosciuto, le autorità di Wuhan decretarono la chiusura totale della città. Questo segnò il principio, nel Paese, di una rigida politica sanitaria fatta di controlli sugli spostamenti, quarantene obbligatorie e test, prefigurando gli sconvolgimenti globali a venire.

Sette giorni dopo, l’Organizzazione mondiale della sanità (OMS) dichiarò una “emergenza di salute pubblica di portata internazionale” a causa della rapida diffusione del nuovo coronavirus. Ripercorriamo qui gli eventi più importanti della pandemia.

Europa e Svizzera: le prime risposte sanitarie

Il 25 gennaio, la malattia polmonare, ormai identificata come una nuova specie della famiglia dei coronavirus, raggiunse l’Europa, con tre casi rilevati in Francia. Il giorno successivo, il Governo inasprì l’obbligo di segnalazione di questo tipo di virus, richiedendo ai medici di comunicare i casi sospetti entro due ore. In Svizzera, il primo caso del COVID-19 fu confermato il 25 febbraio 2020 nel canton Ticino. La persona infetta, un settantenne, aveva contratto il virus durante una riunione a Milano.

Maria Pia Pollizzi, responsabile del servizio infermieristico della Clinica Moncucco di Lugano, racconta la sua esperienza con il primo paziente svizzero affetto da coronavirus. Nei primi giorni della pandemia, la sua équipe fu travolta da un “diluvio di informazioni”, che resero difficile filtrare e tradurre i dati in misure concrete. “Nei primi giorni, molti processi non erano ancora ottimali, si improvvisava e si cercavano soluzioni”, ricorda Pollizzi. Gravava anche l’incertezza sulle misure di protezione: “Ci chiedevamo ogni giorno se le maschere FFP2 sarebbero state sufficienti”.

A marzo, nel canton Vaud fu segnalato il primo decesso di COVID-19 in Svizzera. Pochi giorni dopo, il Ticino divenne il primo cantone a dichiarare lo stato di emergenza, sospendendo le attività di scuole, cinema, teatri, centri sportivi e discoteche. Il 16 dello stesso mese, Berna estese lo stato di emergenza a tutta la Svizzera, chiudendo anche ristoranti, negozi e strutture per il tempo libero.

I prestiti della Confederazione, cinque anni dopo

A distanza di cinque anni dalla pandemia, sono stati rimborsati quasi tre quarti dei prestiti erogati dalla Confederazione durante la crisi pandemica a sostegno delle imprese in difficoltà. Complessivamente Berna aveva stanziato, fra marzo e luglio del 2020, 17 miliardi di franchi. Nel dettaglio erano stati concessi 130’000 prestiti. A metà gennaio, ha indicato la Segreteria di Stato dell’economia (SECO), 53’000 prestiti erano stati interamente rimborsati, per un totale di 9,3 miliardi di franchi. A questo ammontare vanno quindi aggiunti 2,8 miliardi di rimborsi parziali. Di conseguenza, conclude la SECO, è stato rimborsato quasi il 72% del volume dei crediti concessi alle aziende.

La campagna di vaccinazione e le misure di contenimento

Occorsero mesi prima di riuscire a elaborare dei vaccini contro il coronavirus. E il 23 dicembre 2020, una novantenne del canton Lucerna divenne la prima persona in Svizzera a beneficiarne. Entrarono poi in vigore nuove misure di protezione, seguite da un allentamento delle restrizioni.

Nel giugno del 2021, la legge Covid-19 venne approvata dagli elettori, con successivi emendamenti nei mesi seguenti. Venne quindi messo in atto l’obbligo di certificato per accedere a ristoranti, strutture culturali e ricreative e per partecipare a eventi al coperto. Questo provvedimento richiedeva la prova di vaccinazione, guarigione o un test negativo, come risposta alla situazione critica negli ospedali. A gennaio 2022, le nuove infezioni raggiunsero il picco, con quasi 45’000 casi segnalati.

Infine, a marzo, il Consiglio federale revocò le ultime misure contro la pandemia. Da aprile, non fu più obbligatorio l’isolamento per le persone infette né l’uso delle mascherine sui mezzi di trasporto pubblico e nelle strutture sanitarie.

La fine dell’emergenza e il ritorno alla normalità

Più di un anno più tardi, il 5 maggio 2023, l’OMS dichiarò che la pandemia di coronavirus non era più un’emergenza sanitaria internazionale. Secondo l’organizzazione, la pandemia ha causato almeno 20 milioni di morti nel mondo, mentre in Svizzera i decessi furono 20’724 tra il 2020 e il 2023, come riportato dall’Ufficio federale di statistica.

Oggi, a cinque anni dall’inizio dell’emergenza “i ricordi sono sempre più confusi”, dichiara Jack He, uno studente di 20 anni che vive a Wuhan. “Si ha sempre l’impressione che quegli anni siano stati davvero difficili […] Ma è iniziata una nuova vita”. L’umanità ha quindi ripreso gradualmente le proprie attività quotidiane e, sebbene certi settori abbiano impiegato più tempo per recuperare e alcune cicatrici della pandemia siano ancora visibili, la maggior parte delle comunità è riuscita a tornare a una certa normalità, adattandosi alle nuove realtà post-pandemiche.

Guardando al futuro, Maria Pia Pollizzi sottolinea l’importanza di migliorare i processi sul posto e di evitare carenze di materiali. Inoltre, vede la necessità di una migliore educazione sanitaria nelle scuole, affinché i giovani comprendano l’importanza delle misure di protezione come l’uso delle mascherine: “Abbiamo bisogno di una migliore educazione nel campo della salute”.

Un nuovo modello svizzero prevede meglio le epidemie

Proprio oggi, giovedì, è stato inaugurato a Berna un nuovo centro per il monitoraggio delle epidemie, il Centro per la bioinformatica degli agenti patogeni (CPB). Diretto dalla scienziata Aitana Neves, il CPB mira a migliorare il monitoraggio delle epidemie in Svizzera attraverso l’analisi genomica.

Gestirà i dati provenienti dal sequenziamento genico di microbi ottenuti da acque reflue o campioni clinici, monitorando il loro potenziale epidemico e sostenendo la ricerca. Il centro, gestito dall’Istituto svizzero di bioinformatica di Losanna, collaborerà con le autorità sanitarie nazionali e internazionali.

“Durante la pandemia di Covid-19 è emersa chiaramente la necessità di un migliore coordinamento e di una maggiore collaborazione tra i diversi attori”, ha spiegato Neves. Il nuovo centro dovrebbe profilarsi proprio in tal senso.

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