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"Cambia un pezzo di storia d’Italia"

Processo Stato-mafia: l’intervista al magistrato Alfonso Sabella, già a capo della squadra mobile della Procura di Palermo

  • 21 aprile 2018, 15:10
  • 23 novembre, 01:46
Sebella in una foto del 2015

Sebella in una foto del 2015

  • ansa

"Lo Stato è forte e non si è piegato nel momento in cui si è trattato di arrestate gli stragisti. Mi è stato dato tutto il supporto necessario: uomini, mezzi. Arrestati i vertici stragisti, le cose però sono leggermente cambiate". Sono le parole di Alfonso Sabella, già a capo della squadra mobile della Procura di Palermo incaricata di dare la caccia ai mafiosi. Parole rilasciate ai nostri microfoni all’indomani della sentenza di primo grado, a Palermo, al termine del processo sulla trattativa tra Stato e Mafia. Una sentenza che ha stabilito condanne nei confronti di alti funzionari delle forze dell’ordine, politici e boss mafiosi. In particolare sono stati inflitti 12 anni agli ex capi del ROS, il raggruppamento operativo speciale dei carabinieri.

Sabella, che ha vissuto in prima linea gli anni della caccia ai vertici di Cosa Nostra, ci spiega che dopo una prima stagione molto forte di contrasto alla mafia un momento di flessione c’è stato e sono sorte le prime polemiche, le prime interrogazioni parlamentari e i trasferimenti di investigatori.

Ed è proprio in quel periodo di flessione che, secondo la Procura di Palermo, e ora c’è anche una sentenza di condanna, è iniziata la trattativa tra Stato e mafia. “È anche la mia sensazione”, continua il magistrato: “Probabilmente qualcuno, non so a che livello dei vertici statali, ha avuto l’idea che con un pezzo di mafia si potesse convivere e scendere a patti. Ovvero: non mi fate più saltare le autostrade e non mettetemi più le bombe, non ammazzate gente per strada e io allento un po’ la pressione investigativa su di voi. Questo, secondo me, può essere accaduto”.

Chi si occupava di queste indagini era proprio il ROS, il raggruppamento operativo speciale dei carabinieri, i cui vertici sono stati condannati pesantemente con la sentenza di ieri. Il ruolo del ROS, ci spiega ancora Sabella, è stato “fondamentale per il contrasto a Cosa Nostra nella misura in cui erano degli investigatori molto specializzati nel servizio sul territorio, molto professionali. Questo sicuramente fino all’arresto di Salvatore Riina e poco dopo. Dopo, per quanto riguarda le mie indagini, non mi sono mai rivolto a loro, ma ho preferito collaborare con altre forze di polizia”. Nell’ambito delle ricerche di Provenzano, continua tuttavia Sabella, “ci fu un periodo in cui il ROS aveva il monopolio assoluto delle indagini. E il fatto che la ricerca del latitante più importante fosse appannaggio esclusivamente del ROS, di cui alcuni esponenti resero dichiarazioni piuttosto pesanti nei confronti di alcuni magistrati della Procura di Palermo, fu una cosa che mi fece molto arrabbiare”.

Della sentenza di primo grado si attendono ora le motivazioni: “Qualunque esse siano, a partire da ieri si può guardare con occhi diversi un pezzo di storia dell’Italia. Non vedo l’ora di leggerle”.

RG-Claudio Bustaffa/ludoC

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