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"Riina? Il più sanguinario"

Chi era il capo dei capi? Parla il pubblico ministero del maxiprocesso di Palermo Giuseppe Ayala: "Paradossalmente ha aiutato i giudici"

  • 17 novembre 2017, 18:42
  • 8 giugno 2023, 13:03
Totò Riina nel 1993

Totò Riina nel 1993

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"Era un sanguinario, come forse mai nella storia di Cosa Nostra che è pur una storia fatta da criminali. Qualunque problema Salvatore Riina lo risolveva ammazzando la persona". Chi era il boss dei boss? A ricordarlo è un profondo conoscitore delle mafie e della Sicilia: Giuseppe Ayala, l’ex magistrato. A lungo, prima di entrare in politica, è stato sostituto procuratore della Repubblica di Palermo, coadiuvando il pool antimafia. Con Domenico Signorino rappresentò l’accusa al primo maxiprocesso che rappresentò un punto di svolta nella lotta all’organizzazione. A rispondere di tanti crimini e di associazione di tipo mafioso c’erano oltre 450 imputati, tra cui tutta la cosiddetta cupola (lo stesso Riina, Bernardo, Michele Greco e Pippo Calò). Il primo grado si concluse il 16 dicembre 1987 con 19 ergastoli e pene detentive per un totale di 2’665 anni di carcere.

Giuseppe Ayala

Giuseppe Ayala

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Ma Totò Riina, morto a 87 anni nella notte tra giovedì e venerdì nel reparto detenuti dell'ospedale di Parma dove era detenuto in massima sicurezza, era un sanguinario di nuovo stampo. "Per la prima volta, sostanzialmente, nella storia di Cosa Nostra, decise, sul finire degli anni Settanta, di attaccare militarmente lo Stato – sottolinea Giuseppe Ayala -. Uccise, per esempio, il commissario Boris Giuliano e, il 6 gennaio 1980, addirittura il presidente della regione Sicilia Piersanti Mattarella e l’elenco è lungo".

Nel rosario delle vittime della mafia guidata dai corleonesi capeggiati da Salvatore Riina, in carcere dal 1993, ci sono anche Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, ammazzati da attentati dinamitardi vicino allo svincolo di Capaci e in Via d’Amelio a Palermo il 23 maggio e il 19 luglio 1992. "Lui fu l’autore di una strategia inedita nella storia, purtroppo lunga, di Cosa Nostra; cioè quella di contrapporsi militarmente allo Stato, quasi a dimostrare allo Stato la sua forza e la sua capacità di condizionarne le scelte. Questo è il personaggio. Un personaggio che, secondo me, alla fine ha fatto un grande danno a Cosa Nostra", afferma l’ex magistrato.

02:23

Dai nostri archivi: l'arresto di Totò Riina

Edoardo Rezzonico (TG 20.00 del 16.01.1993) 17.11.2017, 09:41

Perché ritiene abbia fatto un grande danno a Cosa Nostra?

"Riina ci ha aiutato perché ha provocato l’avvento di quello che non era mai successo prima: alcuni mafiosi, anche importanti, hanno deciso, proprio per vendicarsi di questo suo ricorso folle all’omicidio, di collaborare con i giudici. Per noi è stato prezioso, paradossalmente…"

Che segreti si porterà nella tomba Salvatore Riina anche sui rapporti Stato-mafia mai chiariti?

"I segreti purtroppo se li porterà. Non c’è dubbio. Alcuni di questi riguarderanno i rapporti con pezzi deviati delle istituzioni. I rapporti, secondo me, ma non solo secondo me, ci sono stati. E ora accertare trovare la verità su questi rapporti diventa sempre più difficile. Purtroppo dobbiamo riconoscerlo".

Ora che è morto chi è il nuovo capo di Cosa Nostra?

"Dopo Riina arrestato nel gennaio 1993, non c’è dubbio, che al vertice di Cosa Nostra c’era Bernardo Provenzano arrestato nel 2006. Questo è fuori discussione. Negli anni successivi, quello che mi pare di capire, è che all’interno di Cosa Nostra c’è sicuramente un accordo tra i vari capi mafia, ma probabilmente non è stato ricostruito l’organigramma di vertice. Faccio un po’ fatica a credere che al vertice possa esserci Matteo Messina Denaro, incredibilmente latitante da troppi anni, devo dire. Faccio fatica a crederci perché Matteo Messina Denaro è della provincia di Trapani. Ho qualche riserva sul fatto che le famiglie palermitane si facciano ancora una volta comandare da un non palermitano", conclude Giuseppe Ayala.

Giuseppe Ayala che sull'importanza rivestita da Totò Riina negli ultimi vent'anni ha un'opinone diversa rispetto a quella di chi, come l'ex sostituto procuratore del pool antimafia Alfonso Sabella ospite questa mattina della puntata di Modem La morte del padrino, considera che "Totò u curtu" ha continuato ad essere alla testa di Cosa Nostra fino alla morte, nonostante la carcerazione in regime speciale di isolamento, senza privacy e con contatti limitati.

Claudio Bustaffa/Diem

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