Il referendum per l'indipendenza della Catalogna è programmato per domani (domenica 1° ottobre), e nella giornata di sabato fino a tarda sera i fronti dei favorevoli e dei contrari si sono confrontati nelle piazze, a suon di slogan e sventolando bandiere. Son volate minacce e ci sono stati momenti di tensione, ma finora tutto è avvenuto senza violenze.
Gli ultimi aggiornamenti da Barcellona di Davide Mattei
InfoNotte 30.09.2017, 23:42
"Il referendum è illegale"
La consultazione popolare è stata indetta nel giugno di quest'anno da Carles Puigdemont, eletto presidente della regione nel gennaio del 2016. Da subito il governo centrale si è opposto alla consultazione popolare, definendola illegale ed anticostituzionale. Ma i promotori dell'iniziativa non hanno mai ceduto alle minacce del capo di Stato Mariano Rajoy, il quale ha assicurato fin da subito che sarebbe stata presa "ogni misura possibile per impedire lo svolgimento della votazione".
La campagna degli indipendentisti è partita sotto l'egida di Puigdemont nell'arena di Tarragona due settimane fa, al grido di "Voteremo!" Da allora sono stati impiegati dallo Stato spagnolo decine di migliaia tra agenti di polizia, soldati della Guardia Civil e Mossos D’Esquadra (sebbene questi ultimi a detta di Puigdemont dovrebbero fare riferimento al governo regionale) per impedire lo svolgimento della consultazione: è stato sequestrato tutto il materiale di voto e sono stati arrestati una quindicina di membri dell’esecutivo catalano, tra cui Josep Maria Jové, potente braccio destro del vicepresidente catalano Junqueras. “È uno scandalo democratico”, affermò il sindaco di Barcellona Ada Colau. E Puigdemont non si è trattenuto dall’accusare il governo di Madrid di “totalitarismo, repressione e violazione dei diritti fondamentali”.
Il fronte del Sì
Le principali associazioni indipendentiste (Ómnium Cultural e l’Assemblea Nazionale Catalana) hanno allora chiamato la popolazione alla mobilitazione, un invito che si è tradotto in una lunga sequenza di eventi, dibattiti e manifestazioni di piazza in difesa del diritto di voto. In molti hanno abbandonato il proprio posto di lavoro facendo risuonare le note di “Els Segadors”, inno nazionale della Catalogna, ed invitando la polizia spagnola a desistere dai loro propositi. Il 20 settembre, dopo l’arresto di alcuni promotori del referendum, i manifestanti indipendentisti hanno cominciato nella capitale catalana quella che definirono una "mobilitazione permanente" di protesta, che sta continuando fino ad oggi.
Il fronte del No
Migliaia di persone contrarie alla secessione si sono riversate oggi a Barcellona munite di bandiere catalane, spagnole ed europee, per protestare contro il referendum: “Anche noi siamo catalani”, “Puidgemont in prigione”, urlavano alcuni manifestanti. “Sono qui perché sono stufa di questa situazione”, ha dichiarato una 54enne: “Ci vogliono imporre di violare la legge con una pseudo-democrazia che ci divide dal resto degli spagnoli”. Il fronte del no riunisce soprattutto persone che si riconoscono nelle forze catalane dei due principali partiti storici: il Partito popolare e il Partito socialista.
L’ora della verità
Le manifestazioni in favore dell’unità della nazione sono rare nella regione, sebbene i sondaggi indichino che la maggioranza dei catalani è favorevole a restare parte della Spagna. Gli ultimi dati rivelano un avanzamento del fronte dei “no” con il 49%, contro il 41,1% a favore dell’indipendenza. In ogni caso il 70% dei catalani desidera che la consultazione popolare abbia luogo in modo da risolvere la questione.
Le due fazioni finora si sono confrontate senza violenze, ma la vicenda sta aprendo una crisi nel paese senza precedenti dal colpo di Stato militare del febbraio 1981.
ATS/AFP/Bleff