Mondo

Corea del Sud in bilico dopo il fallito arresto di Yoon

La crisi istituzionale scatenata dal tentativo del presidente di imporre la legge marziale ha implicazioni interne, dove i fronti sono contrapposti, ma anche internazionali

  • 4 gennaio, 06:59
03:00

Corea del Sud, le considerazioni di Lorenzo Lamperti

Telegiornale 03.01.2025, 20:00

  • keystone
Di: Lorenzo Lamperti (da Taiwan) 

La Corea del Sud è sull’orlo di una crisi di nervi. Il mancato arresto di Yoon Suk-yeol, con il teso confronto durato oltre cinque ore tra la polizia che tentava di eseguire il mandato e le forze di sicurezza presidenziale schierate per impedirlo, sono una nuova cicatrice in una democrazia che si è scoperta improvvisamente fragile. Dalla legge marziale imposta dal presidente conservatore nella notte del 3 dicembre al fallito arresto del 3 gennaio è successo di tutto. E tanto potrà ancora succedere.

Il mandato d’arresto in mano agli investigatori è valido fino al 6 gennaio. In teoria, potrebbe essere chiesta una proroga, ma la sensazione è che prima di lunedì possa esserci un secondo tentativo di arresto. Il timore su quanto può succedere è alto. Venerdì mattina, i 120 poliziotti e 30 investigatori giunti alla residenza di Yoon per eseguire il mandato si sono trovati di fronte diverse file di auto e van parcheggiati in modo da rallentare l’avvicinamento all’edificio. In 80 uomini hanno proceduto a piedi, inizialmente senza trovare resistenza, ma dovendo poi prima fronteggiare un’unità militare e poi un muro di circa 200 uomini di Yoon e agenti della forza di sicurezza presidenziale. Si tratta di un’agenzia indipendente responsabile della protezione del presidente e che dipende ancora da Yoon, che seppure sospeso resta formalmente in carica fino alla sentenza della Corte costituzionale, chiamata entro inizio giugno a destituirlo in via definitiva oppure a rimetterlo al suo posto.

Nelle scorse settimane, le stesse forze di sicurezza avevano impedito in più di un’occasione la perquisizione dell’ufficio di Yoon, che per tre volte ha rifiutato di farsi interrogare nell’ambito dell’indagine per insurrezione e abuso di potere. Un’indagine che vede peraltro già in carcere l’ex ministro della Difesa e suo fedelissimo Kim Yong-hyun, che qualche settimana fa ha tentato di impiccarsi in cella. Dopo oltre cinque ore di stallo, gli investigatori hanno deciso di sospendere l’esecuzione del mandato d’arresto, citando preoccupazioni per la sicurezza del personale sul posto. Secondo quanto emerso sui media sudcoreani, si sarebbero verificati diversi momenti di tensione, compresi scontri fisici, tra la polizia e le forze di sicurezza di Yoon, che sarebbe stato già pronto a chiudersi nel bunker sotterraneo dell’edificio.

D’altronde, il presidente sospeso non lascia la residenza dal 12 dicembre e non ha alcuna intenzione di cedere. Anzi, ha persino estremizzato la sua retorica, abbandonando le timide scuse del discorso alla nazione precedente al primo voto parlamentare sul suo impeachment e rivendicando l’imposizione della legge marziale come un atto di governo “legittimo” e “necessario” per “proteggere la democrazia” sudcoreana dalle “forze anti statali” e “amiche della Corea del Nord” dell’opposizione. Yoon ha chiamato a raccolta i suoi sostenitori con una lettera firmata distribuita ai circa 1’200 radunati davanti alla sua residenza con l’intenzione di proteggerlo dall’arresto. Nel testo, l’ex procuratore di giustizia promette di combattere fino all’ultimo e chiede di fare lo stesso ai suoi sostenitori.

Anche per questo, gli investigatori avrebbero voluto eseguire l’arresto venerdì, temendo che nel fine settimana l’afflusso dei supporter di Yoon possa essere molto più alto. Così come decine di migliaia di persone praticamente ogni sera dallo scorso 3 dicembre scendono in piazza per chiederne la destituzione e l’arresto.

In molti temono che un nuovo tentativo di arresto possa portare a scontri sia all’esterno sia all’interno della residenza di Yoon. Per questo, gli investigatori hanno chiesto al presidente facente funzioni Choi Sang-mok di ordinare alle forze di sicurezza di collaborare. Anche qualora Choi accetti, è tutto da vedere che ciò avvenga senza intoppi. Yoon è ancora formalmente in carica e il servizio di sicurezza presidenziale sembra intenzionato a seguirne gli ordini fino all’eventuale destituzione definitiva. Dall’altra parte, gli avvocati del presidente sospeso sostengono che il mandato d’arresto sia illegale per una legge che protegge i luoghi potenzialmente legati a segreti militari da perquisizioni senza il consenso del responsabile. Si eccepisce anche in base a una norma costituzionale che prevede l’immunità dei presidenti fino alla loro destituzione definitiva, ma gli investigatori fanno leva sull’eccezione prevista proprio nel caso di insurrezione.

Finora tutte le manifestazioni di protesta sono state pacifiche, ma inquieta l’estremizzazione delle rispettive posizioni. I sostenitori di Yoon hanno adottato lo slogan “Stop the Steal” (“fermate il furto”) che Donald Trump aveva utilizzato dopo le elezioni perse contro Joe Biden nel 2020, preparando il terreno all’assalto a Capitol Hill di cui curiosamente cade il quarto anniversario proprio lunedì 6 gennaio, quando scade il mandato d’arresto. Lo slogan viene utilizzato per mettere in discussione i risultati, in realtà netti, delle elezioni legislative dello scorso aprile in cui l’opposizione del Partito Democratico ha stravinto e ampliato il controllo del Parlamento. Un sondaggio di Hankook Research pubblicato questa settimana ha mostrato che il 65% dei sostenitori del Partito del Potere Popolare di Yoon ritiene che le elezioni di aprile siano state fraudolente, nonostante solo il 29% del pubblico in generale condivida questa opinione.

Nel frattempo, la Corte costituzione ha fissato per il 14 gennaio la prima udienza del processo di impeachment. Yoon è tenuto a comparire. Piccoli passi avanti sono stati compiuti anche con l’annuncio del presidente ad interim Choi, che intende nominare i tre giudici mancanti. Un passaggio chiave, visto che per approvare la destituzione di Yoon servono almeno sei voti su nove. Ciò significa che senza nomine, a cui si era opposto il precedente leader facente funzioni Han Duck-soo, servirebbe raggiungere una complicata unanimità.

L’incertezza interna della Corea del Sud rischia di avere anche effetti internazionali. I media statali della Corea del Nord stanno parlando inusualmente nel dettaglio di quanto accade a Seul, approfittandone per dipingere i rivali come un Paese nel “caos politico e sociale”, a causa del suo governo, definito “fantoccio degli americani”. Il regime di Kim Jong-un detesta Yoon, che ha adottato una linea dura nei confronti di Pyongyang e ha enormemente rafforzato l’alleanza con gli Stati Uniti e rilanciato i rapporti col Giappone.

Con una Seul improvvisamente instabile, potrebbe fare ancora più paura il trattato di mutua difesa siglato lo scorso giugno da Kim e Vladimir Putin, che ha già prodotto l’invio di diverse migliaia di soldati nordcoreani a combattere contro l’Ucraina. Non è un caso che nei prossimi giorni arriverà a Seul il segretario di Stato Antony Blinken, in uno dei suoi ultimi atti prima del cambio di amministrazione. L’obiettivo è quello di ottenere garanzie sulla stabilità dell’alleanza tra Washington e Seul, chiamate peraltro a ufficializzare il rinnovo dell’accordo sulle spese di difesa per il mantenimento delle circa 29’000 soldati americani su suolo sudcoreano. Prima della legge marziale, Yoon prendeva lezioni di golf per entrare in sintonia con Trump, prendendo il posto che fu dell’ex premier giapponese Shinzo Abe di suo partner privilegiato in Asia orientale. Ora il rischio è che si indebolisca, e non poco, un anello fondamentale dell’architettura di sicurezza dell’Asia-Pacifico. 

Correlati

Ti potrebbe interessare