Europa e Stati Uniti hanno accusato le truppe russe di aver compiuto crimini di guerra in Ucraina, dopo il ritrovamento di molti cadaveri di persone in abiti civili nella cittadina di Bucha. SEIDISERA ha chiesto ad Andrea Bianchi, professore di diritto internazionale all’Istituto di studi internazionali di Ginevra, si può già configurare questo genere di crimine in merito alle azioni compiute dall’esercito russo:
"Direi che, a quanto si apprende, dalle notizie che si hanno regolarmente ogni giorno c'è materiale per poter configurare l’accusa di aver compiuto crimini di guerra da parte delle forze militari russe in Ucraina. Hanno attaccato civili, infrastrutture, ospedali, centri commerciali… Il bombardamento del teatro di Mariupol, dove ci sarebbero stati addirittura centinaia di vittime civili, è configurabile come crimine di guerra, perché il diritto internazionale umanitario si preoccupa soprattutto di proteggere le categorie di persone che non prendono direttamente parte alle ostilità, come per esempio i civili che mai devono essere assoggettati a un attacco da parte delle forze militari di un Paese".
Quando si parla di crimine, bisogna anche dimostralo. Qual è la difficoltà nel valutare come tali i crimini di guerra? Forse raccogliere le prove?
“Non c'è dubbio, questo rappresenta un ostacolo e una difficoltà per qualunque indagine di carattere penale. E certamente lo è ancora di più in una situazione di conflitto armato. È ovvio che il reperimento di prove in una situazione di conflitto è un'operazione molto delicata. Credo che molti Paesi che ricevono in questo momento il flusso dei rifugiati che fuggono dall'Ucraina siano anche impegnati, tra le altre cose, oltre che a offrire rifugio, anche a reperire, al fine di trasmetterle alla Corte penale internazionale, delle prove di qualunque genere esse siano, incluse registrazioni e altro, che possano in qualche modo contribuire se e quando effettivamente ci sarà una messa in accusa di coloro che avrebbero commesso crimini contro l'umanità e crimini di guerra. Occorre effettivamente provare il nesso di causalità tra la responsabilità di individui, capi militari o politici e l'atto che rappresenterebbe un crimine di guerra”.
Ieri, sabato, Carla Del Ponte, ex procuratrice capo del Tribunale penale internazionale per l'ex Jugoslavia, ha auspicato che venga spiccato un mandato di arresto nei confronti del presidente russo Vladimir Putin. Nel caso intervenga la giustizia internazionale, lei ritiene che la Corte penale internazionale abbia reali e concrete possibilità di far applicare un simile provvedimento, tra l'altro, nei confronti di un leader che è ancora al potere, un leader di una nazione importante come appunto la Russia?
“Credo che ovviamente ci siano anche considerazioni politiche accanto al dato giuridico che sono importanti. È ovviamente difficile configurare la messa in stato di accusa o l'arresto del leader in carica di un Paese come la Russia. Però è molto importante cercare di creare dei fattori di dissuasione affinché i leader non siano tentati di compiere atti di aggressione o qualunque altro crimine perseguito dalla giustizia penale internazionale. Ricordo molto bene quando, nel 1999, per la prima volta ci fu l’arresto nel Regno Unito del generale Pinochet, che era stato il terribile e sanguinario dittatore del Cile. Ebbene, quando Londra negò l'immunità a Pinochet, gli ex dittatori che vivevano tranquillamente in Svizzera, in Francia e in altri Paesi europei scomparvero. Non si può sottovalutare sia il rischio di un’incriminazione penale di fronte ai tribunali interni di un altro Stato, sia di fronte alla Corte penale internazionale. Un rischio che potrebbe contribuire a far pensare due volte chiunque voglia porsi al di là e al di sopra del diritto internazionale”.
Andrea Bianchi
Professor Bianchi, però, c'è anche la realpolitik: quanto possono essere utili o dannose le dichiarazioni dei leader europei prima ancora di azioni in questo senso, in un momento in cui si cerca un'intesa negoziale con Putin, mentre si sta percorrendo una via diplomatica?
“Credo che occorra trovare un giusto equilibrio tra quella che dovrebbe essere in questo momento la priorità numero uno, e cioè quella di far cessare le ostilità e la violenza in Ucraina, e l'esigenza, in qualche modo, di assicurare alla giustizia chi abbia commesso crimini di guerra. Questo equilibrio è molto delicato. Penso che quello che sta accadendo a livello internazionale, l'indagine della Corte penale internazionale, il fatto che sia la Corte internazionale di giustizia sia la Corte europea dei diritti dell'uomo abbiano già ingiunto alla Russia di cessare le ostilità in Ucraina, sono segnali molto importanti, che vanno dati ma che vanno inquadrati in un contesto certamente più generale, dove la soluzione politica del conflitto e soprattutto la cessazione delle ostilità deve rimanere, secondo me, l'obiettivo prioritario per cercare di salvaguardare le vite delle persone che in questo momento sono in grave pericolo. Certamente le dichiarazioni di politici di alto livello che qualificano Putin come criminale di guerra o che comunque rischiano di mettere olio sul fuoco, non aiutano in particolare a raggiungere questo fine”.