Quasi dopo 9 anni dallo scandalo Dieselgate, che scosse in profondità l’industria automobilistica, si è aperto in Germania oggi, martedì, il processo penale a carico di Martin Winterkorn.
Nel quadro del procedimento avviato al tribunale di Braunschweig, in Bassa Sassonia, l’ex presidente del gruppo Volkswagen deve rispondere dell’accusa di frode organizzata: nel settembre del 2015, Volkswagen ammise di aver “truccato” 11 milioni di vetture in modo che i livelli delle emissioni di ossido d’azoto risultassero molto più bassi di quelle effettive.
Winterkorn, oggi 77enne e in fragili condizioni di salute, rischia una condanna fino a 10 anni di carcere. Chiamato di recente a testimoniare in un altro processo civile contro Volkswagen, è apparso molto debole nell’ultimo giorno dell’udienza. Ci si chiede ora se sarà in grado di sostenere il ritmo di un nuovo processo che sarà lungo e con udienze in programma fino alla metà del prossimo anno.
La giustizia imputa a Winterkorn, a capo dell’impero Volkswagen dal 2007 al 2015, quando si dimise sull’onda dello scandalo, di aver consentito la vendita di veicoli equipaggiati di software di manipolazione, nonostante fosse a conoscenza della loro esistenza. Dovrà inoltre rispondere di falsa testimonianza dinanzi a una commissione parlamentare d’inchiesta e di manipolazione del mercato.
Dal 2015 Volkswagen ha dovuto pagare quasi 30 miliardi di euro in rimborsi, risarcimenti e spese legali soprattutto negli Stati Uniti, dove il gruppo riconobbe di essere responsabile di frode e ostruzione della giustizia.
L’unico alto dirigente del gruppo finora processato, l’ex direttore generale di Audi Rupert Stadler, è stato condannato a Monaco di Baviera, nel giugno dello scorso anno, ad una pena detentiva sospesa condizionalmente e ad una multa di 1,1 milioni di euro.