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Il sistema Putin

L'apparato costruito dal suo arrivo al Cremlino nel 2000 lo ha sostenuto durante la rivolta di Wagner - Ecco chi sono le persone a lui più vicine

  • 30 giugno 2023, 06:48
  • 11 agosto 2023, 14:45
Vladimir Putin con due fedelissimi a un evento del 2019: alla sua destra si riconosce il capo dell'FSB Alexander Bortnikov, alla sua sinistra il numero uno dell'SVR (l'intelligence internazionale) Sergei Naryshkin

Vladimir Putin con due fedelissimi a un evento del 2019: alla sua destra si riconosce il capo dell'FSB Alexander Bortnikov, alla sua sinistra il numero uno dell'SVR (l'intelligence internazionale) Sergei Naryshkin

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Di: Stefano Grazioli

La rivolta di Evgeni Prigozhin, dai contorni rimasti poco chiari, dalla genesi all’esito, ha evidenziato che il sistema Putin, l’architettura che il presidente russo ha costruito sin dal suo arrivo al Cremlino nel 2000, da un lato soffre di crepe che la guerra in Ucraina aveva già portato in superficie, dall’altro che è comunque solido. Nel giro di meno di 24 ore il capo della compagnia Wagner, sostanzialmente solo nella sua marcia contro Mosca e i vertici militari russi, ha dovuto fare dietrofront, abbandonando l’idea dell’avanzata sulla capitale e del colpo di Stato o presunto tale, mentre con il Cremlino si è schierato di fatto tutto il blocco ancora putiniano: forze armate, intelligence e amministrazione. Ciò non vuol dire che Putin sia saldo in sella, dato che il suo potere dipende sempre dai pilastri che lo sostengono, il sistema potrà però continuare nella sua sostanza anche quando il suo fondatore uscirà di scena.

Il cerchio magico ristretto

È vero che soprattutto dopo l’inizio dell’invasione russa il presidente russo ha accorciato ulteriormente le linee decisionali e il cerchio magico si è ristretto, ma è altrettanto vero che i centri di potere sono rimasti in mano a fedelissimi di Putin, per cui il Cremlino, che non va considerato come un’unica stanza dei bottoni, ma per quello che è, cioè una fortezza con molte torri, ha preservato la sua centralità.

Ecco dunque che Putin può contare sugli uomini di sempre, come il segretario del Consiglio di sicurezza Nikolai Patrushev, e i capi dei servizi, Alexander Bortnikov (FSB), Sergei Naryshkin (SVR) e Igor Kostyukov (GRU); per ora anche il ministro della Difesa Sergei Shoigu e il generale Valeri Gerasimov, nemici giurati di Prigozhin, sono rimasti al loro posto, con il presidente che nel gioco degli equilibri è comunque alla ricerca di soluzioni che potranno presentarsi più avanti nel tempo, anche a seconda di come andrà il conflitto in Ucraina

I tecnici

Accanto a quelli che sono sicuramente gli elementi fondamentali a sostegno del presidente, soprattutto in periodo di guerra, cioè forze armate e servizi di sicurezza, un ruolo altrettanto decisivo è giocato dell’Amministrazione presidenziale, la macchina organizzativa alle spalle del capo di Stato ed è la vera sede del potere di chiunque sia l’inquilino del Cremlino. Dal 2015 è guidata da Anton Vaino, soggetto della nuova generazione cresciuta all’ombra di Putin, nipote del segretario del Partito comunista estone ai tempi dell’URSS; il suo vice è Sergei Kirienko, già primo primo ministro ai tempi di Boris Eltsin, sostituito proprio da Putin.

Altri due tecnici che comunque sono in prima linea con il Cremlino sono il primo ministro Mikhail Mishustin e la governatrice della Banca centrale russa, Elvira Nabiullina, il primo responsabile delle questioni interne, la seconda regista della parte economico-finanziaria e della risposta russa alle sanzioni occidentali che avrebbero dovuto far colare a picco la Russia. Anche i governatori regionali si sono dimostrati fedeli a Putin, in pole position Alexei Dyumin, secondo alcuni mediatore nella fase calda con Prigozhin, mentre secondo altri sarebbe stato Vaino a metterci pezza.

Gli oligarchi

Dal febbraio del 2022 i grandi oligarchi hanno assunto un profilo molto basso, sia di fronte alle vicende politiche e militari, sia di fronte alla reazione dell’Occidente attraverso le sanzioni che a ventaglio hanno colpito però un po’ tutti, anche chi magari c’entrava poco o nulla con il potere putiniano. In ogni caso la stragrande maggioranza di loro, da Roman Abramovich a Oleg Deripaska, da Alisher Usmanov ai fratelli Rotenberg, ha dovuto fare buon viso a cattivo gioco.

Una cinquantina di oligarchi è stata sanzionata, i loro patrimoni sono stati ridotti, ma dopo ormai un anno e mezzo di guerra il business è tornato "as usual". Qualcuno si è anche ribellato ed è stato costretto a lasciare la Russia, come Oleg Tinkoff, magnate dal doppio passaporto russo-cipriota. In definitiva gli oligarchi sistemici hanno dovuto riadattare le loro strategie economico-finanziarie alla nuova situazione, conservando parte degli asset nei mercati occidentali e virando, come tutta l’economia russa, sul resto del mondo.

Telegiornale

Telegiornale 25.06.2023, 12:30

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