Bandiere bruciate, slogan antistatunitensi, razzi lanciati dal nord della striscia di Gaza e la risposta dell'artiglieria pesante israeliana che colpisce postazioni di Hamas, sassaiole contro l'esercito che risponde sparando lacrimogeni e proiettili di gomma. Non si sono fatte attendere in Cisgiordania, a Gerusalemme est e lungo la linea di demarcazione con Gaza le manifestazioni contro la decisione di Donald Trump di riconoscere Gerusalemme quale capitale dello Stato ebraico.
Una decisione storica, criticata da più parti a livello internazionale, che ha riacceso la polveriera mediorientale, con dimostrazioni e proteste. Proteste che, nella sola giornata di giovedì, si sono concluse con il ferimento di oltre un centinaio di palestinesi. Le contestazioni si sono estese anche nei campi profughi in Giordania, dove migliaia di persone hanno espresso il loro disappunto bruciando fotografie di Trump e scandendo slogan contro Stati Uniti e Israele.
Verso una nuova intifada
Gli occhi sono rivolti ora a quello che si teme possa succedere venerdì, al termine della giornata di preghiera sulla Spianata delle moschee a Gerusalemme e in Cisgiordania. Non solo, nuove dimostrazioni sono previste per la prossima settimana anche a Beirut.
Intanto, da Amman, re Abdallah e il presidente palestinese Mahmoud Abbas hanno sottolineato giovedì che la decisione di Washington rappresenta "una violazione del diritto internazionale" e che rischia di avere "ripercussioni pericolose". Il movimento islamista Hamas ha invocato una nuova intifada, ovvero una rivolta popolare palestinese, a partire da domani, dopo la preghiera del venerdì.
Dal canto suo, il premier israeliano Benjamin Netanyahu ha salutato positivamente la decisione del presidente statunitense dicendosi certo che: "Quando l'ambasciata americana passerà a Gerusalemme, molte altre rappresentanze diplomatiche si trasferiranno".
ATS/Reuters/bin