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Kosovo, via le barricate al Nord

La svolta dopo giorni di tensione. Ma sullo sfondo resta lo spauracchio di un nuovo conflitto nel cuore dell'Europa

  • 29 dicembre 2022, 10:36
  • 20 novembre, 12:16
Un camion bruciato messo di traverso a bruciare un ponte

Un camion bruciato messo di traverso a bruciare un ponte

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Di: Paolo Rodari 

Sono stati ripetuti e continui nelle ultime ore i tentativi messi in campo da Unione Europea e da Stati Uniti di calmierare le tensioni scoppiate tra Belgrado e il nord del Kosovo, il territorio balcanico dove la maggioranza della popolazione è serba. E oggi un primo segnale di distensione è arrivato: i serbi kosovari hanno accettato di rimuovere le barricate nel nord del Paese. Le proteste avevano portato a blocchi stradali e a violenze e avevano fatto temere l’inizio di nuovi conflitti. Ma il presidente della Serbia Aleksander Vucic ha comunicato questa mattina la notizia dell’accordo raggiunto nel corso di una riunione notturna coi leader delle proteste dei serbi kosovari. Il tutto è stato possibile dopo il rilascio di un ex agente di polizia serbo kosovaro precedentemente arrestato.

Fino a ieri i timori di un nuovo conflitto armato preoccupavano non poco sia l’Europa sia Washington anche alla luce dell’esplicito appoggio in favore della Serbia dato da Mosca. Le ultime dichiarazioni che arrivavano dal Cremlino, infatti, ricordavano a diversi osservatori quelle fatte nei confronti dei russi del Donbass dal 2014, l’anno dell’occupazione dell’Ucraina orientale. Da sempre la Russia sta dalla parte della Serbia nelle sue rivendicazioni su Pristina, non riconoscendo l’indipendenza del Kosovo. Si tratta di una scelta di campo netta e che preoccupa comunque ancora non poco sia i Paesi europei sia gli Stati Uniti anche alla luce della possibilità dello scoppio di un nuovo conflitto nel cuore dell’Europa.

Le ultime ore sul confine

Nelle ultime settimane Pristina ha inviato al confine con la Serbia diversi militari della polizia speciale. Lo scopo dichiarato è quello di intensificare la lotta a criminalità e corruzione che, sempre secondo il Kosovo, sarebbero messe in campo da bande di criminali controllate dai serbi. Per la Serbia, invece, le accuse non stanno in piedi: a suo dire si tratterebbe di una scusa che tende a nascondere una politica da parte del Kosovo ostile e discriminatoria proprio nei confronti della popolazione serba. Belgrado, in sostanza, accusa Pristina di puntare all’espulsione dei 120'000 serbi presenti nel nord dello stesso Kosovo. E, forte dell’appoggio di Mosca, contro questa politica la Serbia è pronta a scendere in campo anche aprendo la ferita di un conflitto le cui conseguenze – visto anche quanto sta accadendo in Ucraina – non sono preventivabili da nessuno.

Botta e risposta fra Mosca e Pristina

In queste ore la Russia non è stata a guardare. Da una parte il Cremlino ha dichiarato di sostenere Belgrado «nei suoi passi sul Kosovo». Dall’altra ha affermato di non avere sul territorio una «influenza distruttiva», perché «la Serbia è un Paese sovrano» e, da sola, «protegge i diritti dei serbi che vivono nelle vicinanze in condizioni difficili. E reagisce duramente quando questi diritti vengono violati». In concomitanza con queste dichiarazioni, e forse proprio perché preoccupato da queste dichiarazioni, il ministero degli Esteri del Kosovo ha inviato una lettera ai Paesi membri dell’Unione Europea perché adottino misure contro la Serbia e insieme per chiedere che Bruxelles collabori alla risoluzione pacifica delle tensioni innescate nella zona settentrionale del Paese. Il documento, così ha riferito il sito di notizie “Dukagjini”, chiede alla comunità internazionale di spingere la Serbia a tornare al dialogo ed elenca in ordine cronologico gli ultimi incidenti susseguitisi nella zona settentrionale: «Nel migliore dei casi, la Serbia sta tentando deliberatamente di destabilizzare il Kosovo per evitare che avanzi il dialogo, specialmente nel contesto del nuovo piano proposto dall’UE (appoggiato da Francia e Germania) per normalizzare le relazioni», dettaglia la lettera, sempre secondo “Dukagjini”.

All’origine della tensione

Nonostante l'accordo di questa notte, sul confine fra i due Paesi la tensione resta palpabile. «Prenderemo tutte le misure necessarie per proteggere le persone e il paese della Serbia», aveva dichiarato prima di questa notte il presidente Aleksandar Vucic. All’origine delle tensioni c’è l’annosa questione delle targhe automobilistiche: nei mesi scorsi le autorità di Pristina hanno chiuso alcuni valichi al confine con la Serbia dopo che dei dimostranti avevano allestito blocchi stradali per protestare contro le nuove leggi sulle targhe degli autoveicoli. La normativa prevedeva a partire dal primo agosto scorso il divieto dell’uso di documenti e targhe serbe nelle regioni settentrionali del Kosovo a maggioranza serba. Come riferisce l’Istituto per gli studi di politica internazionale, la disputa ha alimentato il timore di una nuova esplosione di violenza nei Balcani. Nelle ultime ore alcuni testimoni avevano avvertito anche degli spari e osservato movimenti di truppe al confine tra i due Paesi. Nelle scorse ore era intervenuto anche l’ambasciatore russo a Belgrado, Alexander Botsan-Jarchenko. In una intervista alla TASS aveva ricordato come la situazione di tensione stia avanzando verso uno scenario «molto pericoloso». E aveva detto che in qualsiasi momento potrebbe verificarsi «qualche provocazione». Pristina «sta aumentando la sua presenza militare», aveva spiegato Botsar-Jarchenko, accusando le autorità kosovare di cercare di controllare le zone a prevalente popolazione serba.

L’impasse dell'Unione Europea

A conti fatti ancora oggi è soprattutto l’Unione Europea a uscire indebolita da quanto sta accadendo. Di fatto sta mostrando di non avere una grande capacità di influenzare fattivamente le parti in gioco. Oggi il processo di integrazione di molti Paesi balcanici nella UE è fermo. La Serbia, che ha richiesto di poter aderire all’UE nel 2009 e ha iniziato le negoziazioni nel 2014, si mostra sempre più dipendente da Mosca la quale, fra l’altro, la rifornisce di circa l’85% del suo import di gas. Per tutti questi motivi, oggi, il suo ingresso nell’Unione sembra essere sempre più lontano.

Il ruolo della Chiesa

Il Vaticano, insieme alle gerarchie della Chiesa cattolica e di quella ortodossa dei due Paesi, non sta a guardare. Da tempo la Santa Sede cerca di favorire ogni strada per il negoziato affinché non scoppi un secondo conflitto nel cuore dell’Europa. Secondo fonti consultate dalla RSI, anche in queste ore c’è preoccupazione e, attraverso la segreteria di Stato, la Santa Sede sta cercando ogni strada possibile per aprire una mediazione che calmi le acque. Recentemente è stato monsignor monsignor Lush Gjergji, sacerdote e scrittore kosovaro già vicario generale della diocesi di Pristina, a spiegare che «come cristiani siamo aperti al dialogo e siamo costantemente in dialogo con la Chiesa ortodossa del Kosovo e con la comunità islamica». E ancora: «Cerchiamo il dialogo soprattutto sulla verità e sull’amore. La verità che crea conflitti è inutile e pericolosa. La verità va sempre appoggiata nella carità: la nostra Chiesa è una Chiesa ponte per richiamare tutte le parti a fare la loro parte, soprattutto morale e spirituale». A conti fatti, la preoccupazione della Santa Sede è la stessa della UE e degli USA: che un nuovo conflitto si apra in Europa, con la NATO da una parte, Mosca dall’altra.

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Tensione alle stelle tra Kosovo e Serbia

Telegiornale 27.12.2022, 21:00

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