Dal 2000, anno del suo arrivo alla presidenza della Federazione russa, Vladimir Putin ha visto passare negli Stati Uniti qualche capo di Stato: da George Bush jr. a Barack Obama, da Joe Biden a Donald Trump, quest’ultimo ora al secondo round. Repubblicani e democratici doc, prevedibili perché legati profondamente ai loro partiti e alle rispettive caratteristiche, anche per quel che riguarda la politica estera, e appunto il tycoon nazionalpopulista di destra, che comunque ha già trascorso quattro anni alla Casa Bianca e non è per il Cremlino proprio una scatola chiusa, nonostante la sua imprevedibilità.
La scacchiera ucraina
Tra il 2016 e il 2020 Trump e Putin, nonostante la semplicistica narrazione di due leader sulla stessa linea che è altamente fuorviante per analizzare i rapporti tra USA e Russia, non hanno avuto relazioni distese: nella sostanza Washington ha aumentato la pressione su Mosca con sanzioni economiche sempre maggiori dopo l’avvio della prima guerra nel Donbass, ha preparato il terreno per l’arrivo della guerra su larga scala in Ucraina nel 2022, e sulla scacchiera internazionale ha contribuito alla polarizzazione e alla destabilizzazione, tra la sospensione dell’accordo sul nucleare con l’Iran e l’intesa con i Talebani per il ritiro dall’Afghanistan, poi realizzato da Joe Biden nel 2021. Russia e Stati Uniti sono dal 2022 su due fronti opposti in una guerra che coinvolge non solo Mosca e Kiev, ma appunto anche Washington, la NATO e tutto l’Occidente. Una sintesi della posizione russa dopo l’elezione di Trump l’ha offerta l’ex presidente Dmitri Medvedev affermando in pratica che il cambio di inquilino alla Casa Bianca potrà risultare utile alla Russia. In primo luogo per la questione ucraina.
Il Cremlino in attesa
Se infatti il nuovo capo di Stato statunitense riuscirà a concretizzare le intenzioni espresse in campagna elettorale, dalla riduzione degli aiuti a Kiev sino al raggiungimento di una soluzione per il conflitto nell’ex repubblica sovietica, è verosimile che questo dossier possa essere avviato alla conclusione con esiti vantaggiosi o quanto meno più che accettabili per la Russia. Per l’Ucraina probabilmente no. Nello specifico l’obbiettivo russo sarebbe quello di un accordo condiviso che comprenda il mantenimento dei territori già occupati dal Donbass alla Crimea e un’intesa per una nuova sicurezza continentale dove Kiev rimanga fuori dalla NATO.
Al Cremlino si aspetta comunque di vedere quale sarà davvero la strategia di Trump nei prossimi mesi. E nell’attesa la Russia continua a spingere sul fronte di guerra, mentre l’Ucraina sempre più in difficoltà sta soffrendo già per il temporeggiamento dell’amministrazione Biden su qualità e quantità del supporto militare, adesso nemmeno sufficiente a rallentare l’avanzata russa. A scanso di equivoci Mosca ha continuato e continua a mandare messaggi a Washington, con l’intenzione di chiarire che dalla propria prospettiva non c’è alternativa a quella di aprire un dialogo partendo dallo status quo e che in ogni caso la Russia è disposta a un conflitto sul lungo periodo.
Il segnale nordcoreano
In questo contesto si inserisce la più stretta collaborazione, anche, ma non solo, con la Corea del Nord: il caso delle unità militari di Pyongyang operative in Russia e sul terreno ucraino non è certo una questione strettamente militare, nel senso che il loro impatto sul campo non è influente, ma è soprattutto il segnale che nel futuro il serbatoio di riserva russo può attingere da altre fonti. Mentre la scorsa estate qualche cancelleria occidentale stava pensando all’invio di truppe NATO in Ucraina, con dichiarazioni in merito del presidente francese Emmanuel Macron, la Russia è passata direttamente al lato operativo. Nella logica della guerra di logoramento è Putin a mostrare la volontà di perseguire i propri obbiettivi con maggiore determinazione e con una strategia di lungo periodo. Che ciò possa tramutarsi in un successo finale è ancora tutto da dimostrare, ma intanto la Russia è piazzata in maniera migliore.
Le priorità di Trump
D’altro canto, almeno in teoria, è chiaro che per la Casa Bianca il Cremlino è un attore prevedibile: a Washington sanno cosa vuole Mosca, anche solo per il fatto che Putin ha delineato i suoi obbiettivi massimi alla vigilia dell’invasione dell’Ucraina nel 2022, rimodulati nel corso degli ultimi due anni, ma rimasti sostanzialmente evidenti. Rimane però il fatto che il fosso che si è allargato tra Russia e USA è lo stesso tra l’Occidente e il resto del mondo, con gli equilibri internazionali in fase di spostamento. In relazione quindi a tutto lo spettro dei dossier che vedono la Russia e i vari alleati, partendo dalla Cina, su posizioni antitetiche a quelle di Stati Uniti e del blocco occidentale, Putin è in attesa di capire quali saranno le linee di condotta e le priorità di Trump sui vari fronti, per cercare eventualmente un riavvicinamento nell’ottica della salvaguardia dei reciproci interessi.
Trump e la politica estera
Telegiornale 06.11.2024, 20:00