La notizia della vittoria di Donald Trump non è quella migliore per l‘Ucraina. A Kiev la continuità democratica con Kamala Harris alla Casa Bianca sarebbe stata preferita al ritorno repubblicano del vecchio e nuovo presidente. Volodymyr Zelensky è stato comunque uno dei primi a congratularsi con Trump, a conteggio ancora in corso, e ha espresso subito la speranza che gli Stati Uniti continuino a fornire un forte sostegno bipartisan all’Ucraina. Il capo di Stato ucraino ha ricordato l’incontro a settembre negli USA, durante la campagna elettorale, quando ha illustrato il suo piano della vittoria e i due hanno discusso del partenariato strategico tra i due paesi e delle modalità per fermare l’aggressione russa. Zelensky ha affermato di apprezzare l’impegno di Trump a favore di un approccio di pace attraverso la forza. “È questo principio che può davvero avvicinare una pace giusta in Ucraina. Spero che insieme lo renderemo realtà”, ha detto il presidente ucraino. Al di là delle dichiarazioni di rito è però chiaro che l’arrivo di Trump alla Casa Bianca porterà cambiamenti anche in Ucraina.
Disimpegno annunciato
Non si tratta certo di concludere la guerra nel giro di 24 ore, come propagandato da Trump in campagna elettorale, dichiarazione che appunto va letta nel contesto della vigilia elettorale e nel particolare stile populista che ha da sempre contraddistinto il leader repubblicano, non solo per i temi di politica estera; è evidente comunque che ci sarà una rimodulazione della strategia a stelle e strisce, con molta probabilità in continuità con quello che nell’ultimo anno e mezzo è accaduto con l’amministrazione di Jo Biden.
In sostanza infatti gli aiuti statunitensi dal 2023 si sono progressivamente ridotti e le richieste ucraine non sono mai state soddisfatte, soprattutto quelle legate all’utilizzo di armi a lunga gittata, tanto che Zelensky ha affermato che solo una minima parte delle risorse promesse è realmente arrivata a Kiev; il quadro è anche confermato dai numeri dell’Ukraine Support Tracking dell’Istituto per l’economia mondiale di Kiel, in Germania, che ha anticipato come la presidenza Trump potrebbe avere effetti negativi per l’Ucraina. Negli USA il nuovo capo di Stato e il Congresso difficilmente invertiranno la rotta e anzi, come annunciato, avvieranno una politica di sostegno più contenuta nei confronti dell’ex repubblica sovietica, che dipende in toto dall’appoggio occidentale. Si tratta dunque di vedere in che termini e tempi avverrà il disimpegno di Washington e quali effetti avrà.
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Effetto domino
Gli Stati Uniti sono la locomotiva della NATO, anche dal punto di vista politico. Non è dunque una questione solo di aiuti militari in diminuzione da un parte che potrebbero essere compensati da un aumento dall’altra, cioè dal contributo dei paesi europei: il nodo è proprio quello di un approccio differente al conflitto tra Ucraina e Russia, con la volontà non di sostenere Kiev a tutti i costi, soprattutto alla luce della situazione attuale sul terreno, ma di trovare in tempi relativamente brevi una soluzione. Starà perciò a Donald Trump il compito di elaborare un piano in questa direzione, sempre che segua la linea dichiarata. Se il nuovo presidente deciderà quindi davvero di proporre una exit strategy dall’Ucraina, è presumibile che gli altri membri della NATO seguiranno a ruota, tra approvazione di alcuni, e malumori di altri.
Oltre a questo primo effetto tra gli alleati occidentali, ci sarebbe poi quello diretto in Ucraina, con Volodymyr Zelensky che dovrebbe comunque adattarsi alle nuove condizioni ed essere costretto ad accettare compromessi che sino ad ora ha escluso. Se già la presentazione del piano della vittoria fatta a Washington e alle maggiori cancellerie occidentali a settembre non era stata certo un successo, accolta con freddezza e scetticismo, l’abbandono di posizioni più ideologiche a favore di quelle più pragmatiche potrebbe condurre all’avvio di un processo di tregua e pacificazione partendo dallo status quo, ossia dal mantenimento per la Russia dei territori occupati, dal Donbass alla Crimea. Il primo passo della road map sarebbe dunque una sorta di armistizio, prima di realizzare un accordo ampio e condiviso fra Russia e Occidente, che contempli garanzie per l’Ucraina, per il quale comunque occorrerà tempo.
Rischio a Kiev
Ammesso e non concesso che questo sia lo scenario dei prossimi mesi, la conseguenza più probabile del cambio di consegne alla Casa Bianca sarebbe a Kiev un nuovo inquilino al palazzo presidenziale della Bankova. Zelensky è ormai da tempo in discesa nei sondaggi e ha dimezzato quel consenso assoluto che aveva all’inizio del conflitto. La perdita di popolarità tra l’elettorato ha fatto già emergere le prime crepe di un sistema che l’andamento negativo della guerra sta ulteriormente allargando, sia tra governo filopresidenziale e opposizione, sia dentro il cerchio magico del presidente.
Con la guerra in corso le elezioni, presidenziali e parlamentari, sono state di fatto rimandate a quando ci sarà la possibilità reale di tenerle, ovvero a conclusione del conflitto o comunque dopo la revoca della legge marziale. Un compromesso al ribasso tra Ucraina e Russia mediato dagli USA potrebbe essere fatale per Zelensky e aprire la strada a una nuova leadership, sia alla Bankova, che alla Rada, il Parlamento ucraino. Saranno i prossimi mesi, con l’inizio del nuovo anno, l’insediamento di Trump e i primi cento giorni alla Casa Bianca a delineare insomma i contorni per il futuro dell’Ucraina.
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