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L’opposizione russa in piazza a Berlino

I dissidenti in esilio si sono radunati nella capitale tedesca per la prima grande manifestazione contro l’invasione dell’Ucraina da parte di Mosca - L’analisi

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La manifestazione è stata organizzata, tra gli altri, da da Yulia Navalnaya, vedova di Alexei Navalny, morto in prigionia in Russia lo scorso febbraio

La manifestazione è stata organizzata, tra gli altri, da da Yulia Navalnaya, vedova di Alexei Navalny, morto in prigionia in Russia lo scorso febbraio

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Di: Stefano Grazioli 

“No a Putin! No alla guerra in Ucraina! Libertà per i prigionieri politici!”, questi i messaggi fondamentali lanciati alla grande manifestazione di Berlino, organizzata da alcuni oppositori del Cremlino all’estero. Tra di loro Ilya Yashin e Vladimir Kara-Mursa, rilasciati lo scorso agosto nel più grande scambio di prigionieri dalla Guerra Fredda tra Russia e Occidente, e Yulia Navalnaya, la vedova di Alexey Navalny, il più noto avversario di Vladimir Putin, morto a febbraio in un carcere russo.

È la prima volta che l’opposizione scende in piazza in grande stile per protestare contro il regime i Russia e il conflitto in Ucraina; la scelta di Berlino non è casuale visto che molti esuli politici si sono rifugiati nel corso degli anni nella capitale tedesca, diventata uno dei luoghi principali in Europa da dove parte la resistenza a distanza, al pari di Londra. A Mosca dopo l’inizio del conflitto con l’Ucraina nel 2022 è diventato praticamente impossibile manifestare il dissenso in maniera aperta e. come ha detto Yashin, se lì non c’é la possibilità di organizzare proteste legali, si può dimostrare altrove che esiste comunque una Russia “pacifica, libera e civile”.

Gruppi divisi

L’opposizione russa all’estero è però divisa in vari gruppi: i due maggiori sono quelli che vedono da una parte il traino della Russian Anti-Corruption Foundation, fondata nel 2011 da Alexey Navalny, che pubblica documentari elaborati su YouTube e altre piattaforme social per informare i cittadini russi sui problemi della corruzione, ideficit democratici o la guerra in Ucraina; dall’altra la figura di riferimento è Mikhail Khodorkovsky, oligarca che aveva fatto la propria fortuna con le privatizzazioni selvagge nella prima Russia postcomunista, poi messosi contro il Cremlino, finito in Siberia e graziato nel 2014. Negli ultimi dieci anni l’ex magnate ha coagulato parte della diaspora russa puntando soprattutto sulle élite, o presunte tali, in esilio, in vista di possibili cambiamenti a Mosca.

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I due gruppi sono in competizione per la leadership, anche d’immagine, e anche recentemente non sono riusciti ad accordarsi su posizioni comuni, tanto che all’inizio di novembre mentre Navalnaya teneva un forum antiputinaino a Vilnius, in Lituania, Khodorkovsky faceva lo stesso a Berlino. Alla vigilia della manifestazione di oggi, lo stesso miliardario ha denunciato la mancanza di coordinamento. Dalla Russia è arrivato in ogni caso il sostegno bipartisan da parte di Yekaterina Duntsova, ex giornalista che l’anno scorso aveva annunciato di volersi candidare alle presidenziali contro Putin.

Debolezza intrinseca

La manifestazione di Berlino ha messo in evidenza quindi da un lato la volontà dell’opposizione all’estero di voler giocare un ruolo importante per il futuro della Russia, ma dall’altro ne ha mostrato la debolezza intrinseca e alla luce dei fatti proprio l’impossibilità di avere un impatto, non solo su quello che accade a Mosca oggi, ma su quello che accadrà domani. Da questo punto di vista la strategia sul lungo periodo adottata dal Cremlino sin dai primi anni Duemila nei confronti di ogni tipo di opposizione e dissenso, da quello iniziale di alcuni oligarchi, a quello di movimenti e partiti politici non sistemici, è stata sempre efficace.

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Putin ha ostacolato la creazione di alternative politiche consistenti tenendo a bada i gruppi concorrenti all’ombra del Cremlino, cementando l’autoritarismo, ostracizzando gli elementi considerati potenzialmente pericolosi, lasciando anche carta bianca a chi all’interno e ai margini del sistema aveva conti da regolare. Dall’inizio dell’invasione dell’Ucraina nel 2022, il progressivo giro di vite a cui si era già assisito a partire soprattutto dal 2011/2012, cioè dal ritorno alla presidenza, per la terza volta, dopo il quadrienno ad interim di Dmitry Medvedev, ha condotto alla situazione attuale: l’opposizione, vera, in Russia non esiste più, i casi di Duntsova o di Boris Nadezhdin, altro candidato alla presidenziali di quest’anno poi silurato, sono solo cosmesi tollerata, e i meccanismi democratici sono essenzialmente funzionali alla perpetuazione del regime.

Falsa democrazia

Adesso come prima, va in ogni caso evidenziato che il sistema putiniano al suo interno è tutt’altro che omogeneo e i vari gruppi di potere, le varie correnti e i vari partiti presenti alla Duma, quelli che fanno appunto parte della cosiddetta opposizione sistemica, sono espressione di un pluralismo che però si riconosce nella rigida struttura dello Stato e non permette influenze dall’esterno.

In questo senso non si tratta nemmeno di una novità, introdotta da Putin stesso, visto che l’attuale presidente è arrivato al Cremlino proprio attraverso gli stessi meccanismi: nella Russia di Boris Yeltsin negli anni Novanta, gestita politicamente ed economicamente più dagli oligarchi alle spalle del capo dello stato che non da Yeltsin stesso, e Khodorkosvky è stato uno di questi, Putin è stato accompagnato alla presidenza in una scalata modulata ad hoc sotto sembianze democratiche. Oggi Putin gode in Russia dell’87% dei consensi e non si vedono alternative all’orizzonte, anche se sottotraccia al passaggio di potere ordinato si sta lavorando nei corridoi del Cremlino già da tempo, proprio per non consentire interferenze.

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