Quante sono le vittime della repressione e della guerra in Siria? È una domanda che ci si pone con maggior insistenza dopo la fuga di Bashar al Assad, la presa del potere da parte di Hayat Tahrir al-Sham (HTS) - la formazione militante salafita che ha spodestato il clan Assad - e le conseguenti scoperte dei centri di tortura e delle fosse comuni.
Si entra nelle carceri, nei centri di tortura della temuta intelligence siriana. Si scoprono corpi, si cercano i registri di chi era detenuto. In alcuni casi, chi lavorava per il regime ha bruciato i documenti prima di fuggire. In altri casi rimangono tracce cartacee che andranno analizzate e conservate.
E poi si parla molto delle fosse comuni: la maggior parte si troverebbe fuori Damasco. Fosse scavate dai carcerieri per gettarvi i corpi degli oppositori del regime. Anche le immagini satellitari stanno aiutando a scoprire la fosse comuni ma è un lavoro lungo, che richiede anche grande esperienza. Martedì l’ONU ha contattato la nuova dirigenza siriana per poter inviare squadre di esperti, al fine di raccogliere prove riguardo a questi crimini e tentare di individuare l’identità delle vittime.
Le testimonianze raccolte dalla BBC
La BBC ha raccolto alcune testimonianze di abitanti di un sobborgo alla periferia della capitale: raccontano di aver assistito all’arrivo di uomini delle forze di sicurezza alla guida di camion refrigeranti con all’interno corpi, poi gettati nelle buche. “Li chiamavano “terroristi” e ci ordinavano di non assistere alle operazioni per sotterrarli”. L’area è piena di queste fosse ha affermato un uomo, fosse che contengono una trentina, una quarantina, a volte un centinaio di corpi.
Con la cacciata del clan Assad, i cittadini, le squadre forensi e i gruppi internazionali si trovano ad affrontare quello che potrebbe essere un compito lungo anni per riportare alla luce i morti. Solo in un sito, vicino alla città di Najha, potrebbero essere state sepolte decine di migliaia di corpi, ha dichiarato Stephen Rapp, ex ambasciatore degli Stati Uniti per i crimini di guerra, che ha visitato il sito martedì. Si ritiene che alcuni siano stati sepolti sotto le tombe già esistenti di un cimitero regolare nelle vicinanze. È troppo presto per iniziare a scavare e non si sa quanti corpi siano rimasti lì o se alcuni siano stati spostati nel corso degli anni.
Rapp collabora con due organizzazioni che mirano a documentare le fosse comuni e a identificare i funzionari implicati in crimini di guerra: la Commissione per la giustizia internazionale e la responsabilità e la Task Force di emergenza per la Siria. Insieme ad altri gruppi, da anni raccolgono testimonianze a distanza e immagini satellitari per tracciare e stimare le dimensioni delle fosse comuni che si sono moltiplicate a causa della repressione da parte delle temute agenzie di sicurezza di Assad, in particolare nei primi anni della guerra civile siriana iniziata nel 2011.
Con la caduta di Assad, 10 giorni fa, sono ora in grado di vederle di persona. Questo dà la possibilità di “corroborare realmente ciò che già sappiamo sulla macchina di morte che è stata mantenuta e gestita dal regime di Assad”, ha detto Rapp.
I numeri ancora incerti della tragedia
Più di 150’000 siriani sono ancora irreperibili dopo essere scomparsi nelle prigioni di Assad e si ritiene che la maggior parte di essi si trovi in fosse comuni in tutto il Paese, ha dichiarato Munir al Mustafa, vicedirettore dei Caschi Bianchi, una squadra di ricerca e salvataggio siriana. Secondo i gruppi per i diritti umani, gli informatori e gli ex detenuti, le carceri gestite dall’esercito, dall’intelligence e dalle agenzie di sicurezza erano famose per le torture sistematiche, le esecuzioni di massa e le condizioni brutali che uccidevano gli altri detenuti per malattie e fame. I Caschi Bianchi hanno ricevuto segnalazioni di almeno 13 fosse comuni in tutto il Paese, 8 delle quali vicino a Damasco, tra cui Najha, ha detto al Mustafa. “Non possiamo ancora aprire queste fosse comuni. Si tratta di un lavoro enorme per documentare, prelevare campioni e dare codici ai cadaveri prima di poter identificare le persone”, ha detto. La priorità è fare il punto sui corpi non identificati in superficie, su quelli negli obitori degli ospedali e sugli scontri, ha detto al Mustafa.
Le fosse comuni e la disperazione dei familiari
Rapp, arrivato in Siria lunedì, ha visitato un altro sito sospetto, ad al Qutayfah, 37 chilometri a nord della capitale. Ha in programma di incontrare i funzionari del nuovo governo di transizione insediato dopo l’offensiva lampo su Damasco dell’8 dicembre, che ha costretto Assad a fuggire dal Paese. Intende discutere i modi per mettere in sicurezza ed eventualmente scavare nei siti, raccogliere campioni di resti per l’identificazione e conservare migliaia di documenti scoperti in molte sedi di sicurezza e prigioni. “È necessario un processo. È su questo che mi confronterò con i rappresentanti del governo”, ha detto Rapp. L’ex ambasciatore ha detto che vedrà anche cosa può fare la comunità internazionale per assistere il governo nei procedimenti penali e per garantire che siano conformi agli standard internazionali.
Lunedì, i residenti e le squadre mediche hanno iniziato da soli a scavare una fossa comune nel villaggio di Izraa, nella provincia meridionale di Daraa. Sono stati portati alla luce i resti di oltre 30 cadaveri e le squadre hanno stimato che il numero totale potrebbe arrivare a 70. Moussa al Zouebi, capo della direzione sanitaria del villaggio, ha dichiarato che alcune delle persone di cui sono stati rinvenuti i resti sono state giustiziate “sparando alla testa, agli occhi o bruciandole”.
I parenti hanno detto che inizialmente speravano di trovare i loro cari in una prigione. “Ma non abbiamo trovato nessuno e questo ci ha spezzato il cuore. Sono stati bruciati vivi qui dopo essere stati inzuppati di carburante”, ha detto Mohammad Ghazaleh sul luogo della fossa comune.
Le nuove autorità di Damasco hanno designato una linea telefonica diretta per le persone e gli ex detenuti per identificare i luoghi e le prigioni segrete utilizzate dal governo di Assad per trovare qualsiasi traccia delle persone scomparse. Gli insorti hanno liberato migliaia di prigionieri a Damasco e in altre città, tra cui Aleppo, Homs e Hama.
“È comprensibile che i familiari disperati cerchino di recarsi in un sito sperando di trovare qualche traccia dei loro parenti, qualche informazione”, ha detto Rapp, sottolineando che lo stesso accade con i documenti trovati nei siti. “Anche se questo è comprensibile, può essere dannoso per le indagini”. Il processo di raccolta e catalogazione dei documenti potrebbe richiedere fino a tre mesi, sostiene Rapp, mentre l’identificazione delle persone sepolte nelle fosse comuni potrebbe richiedere più di due anni.
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SEIDISERA 17.12.2024, 18:00
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