Dalla crisi ucraina del 2014 la Russia si trova sotto sanzioni da parte dell‘Occidente, Stati Uniti, Unione Europea e G7 in primis. L’annessione illegittima della Crimea nel mese di marzo è stata il punto di svolta che ha dato il via al confronto diplomatico, finanziario e commerciale, che si è sviluppato in parallelo al conflitto nel Donbass cominciato ad aprile dello stesso anno ed esploso in maniera definitiva con l’invasione russa dell’Ucraina nel febbraio del 2022. Per otto anni comunque la Russia è stata sottoposta a un leggero regime sanzionatorio, che si è inasprito negli ultimi sei mesi e nelle intenzioni dell’Occidente rappresenta la chiave per costringere il Cremlino, attraverso l’indebolimento dell’economia e della conseguente difficoltà di finanziamento, a terminare il conflitto nell’ex repubblica sovietica. Per ora però Vladimir Putin non sembra aver cambiato strategia, il conflitto prosegue e alle sanzioni occidentali sono seguite le contromosse russe, basate essenzialmente sull’arma energetica.
Il ruolo delle sanzioni
I provvedimenti presi dall’Occidente stanno già avendo il loro effetto, anche se quelli relativi alla sfera energetica devono ancora entrare in vigore, dato che l’Unione Europea ha dovuto fare i conti al proprio interno con le difficoltà di approvvigionamento e di sostituzione di alcuni paesi. L’economia russa ne sta risentendo e nei prossimi anni ne risentirà ancor di più, ma intanto la guerra va avanti e a Mosca, nonostante i problemi, si manifesta una certa sicurezza, anche per il fatto che appunto da otto anni la Russia è confrontata con le restrizioni, per certi versi si è già abituata, e il Cremlino è convinto che l’isolamento sul fronte occidentale sia superabile su quello orientale, asiatico, tra Cina e India, e su altre sponde che vanno dalla Turchia all’America latina passando per l’Africa. Inoltre si è comunque preparata, con l’Occidente comunque più sorpreso dell’attacco in Ucraina e per questo più lento e disomogeneo nel reagire. Senza contare l’esempio di stati negli ultimi decenni sottoposti a sanzioni, da Cuba (iniziate nel 1959) all’Iran (dal 1979), per passare a esempi più recenti, ma comunque decennali, tra Corea del Nord e Bielorussia, che sono rimasti tali quali erano e politicamente, cioè non prendendo in considerazione le condizioni economiche e sociali della popolazione, non sono stati in ogni caso piegati dalle pressioni esterne.
Gli effetti in Russia
Sono più di 800 i provvedimenti singoli, spalmati su sei pacchetti, che nel corso di oltre sei mesi l’Unione Europea ha preso nei confronti della Russia, che vanno dall’esclusione del sistema dei pagamenti internazionale Swift alle restrizioni commerciali, dalla chiusura dello spazio aereo alla limitazione dei visti, solo per citarne alcune delle più evidenti. Se in generale si può affermare che gli effetti sono evidenti e l’economia russa sta comunque accusando il colpo, tra un calo del PIL che per quest’anno sarà però contenuto pare entro il 3%, disoccupazione (circa 4%) e inflazione (13%) relativamente stabili se non in diminuzione, probabilmente la situazione peggiorerà nel prossimo anno, fermo restando che i piani del Cremlino prevedono le contromisure, che nel corso del tempo verranno affinate per contenere la carica sanzionatoria dell’Occidente. Particolarmente toccati sono i settori dell’auto e dei macchinari, in particolare tutti quelli dove la tecnologia occidentale è sempre stata all’avanguardia e le sanzioni hanno imposto lo stop ai trasferimenti, creando problemi dall’hi tech all’industria. In questo contesto, comunque, alla luce del fatto che la leadership russa, politica ed economica, sembra aver trovato un certo equilibrio sulla strategia per il futuro, va anche notato la vita della popolazione non è stata certo scossa in maniera radicale.
Cosa è cambiato per i russi?
Le sanzioni stanno avendo il loro effetto concreto sulla vita dei russi in maniera differente. In un recente sondaggio pubblicato all’inizio di settembre dal Centro Levada, istituto di ricerca indipendente, il 31% dei russi non è affatto preoccupato delle sanzioni occidentali, il 26% non è troppo infastidito, il 19% è piuttosto preoccupato, il 22% lo è molto. Sono valori che più o meno sono stati registrati regolarmente dal 2018. Poco più di un terzo degli intervistati è preoccupato per l’assenza di merci occidentali in arrivo Federazione Russa, leggermente in aumento rispetto alla percentuale del 2014, quando sono arrivate le prime sanzioni. Le restrizioni all'ingresso nei paesi occidentali preoccupano un quinto degli intervistati, principalmente quelli che sono stati in Europa o comunque all’ovest, circa il 20% dei russi. In generale il 79% degli intervistati nel sondaggio del Centro Levada ritiene che le sanzioni non avranno un impatto negativo sullo sviluppo della Russia; allo stesso tempo, poco più della metà (55%) ritiene che rafforzeranno il Paese e diventeranno un incentivo per il suo sviluppo, mentre circa un quarto (24%) pensa che le sanzioni non influiranno in alcun modo sullo sviluppo. Infine il 16% ritiene invece che causeranno danni significativi al paese.
Empiricamente, al di là dei numeri delle ricerche, sembra che la classe meno impressionata dalle sanzioni sia quella dei pensionati, toccata meno dai provvedimenti restrittivi che hanno colpito la mobilità verso l’estero, l’utilizzo delle carte di credito e dei conti in valuta, la presenza di prodotti alimentari occidentali nei supermercati. Viceversa le generazioni più giovani e tra gli accademici, tra problemi di viaggio, studio e ricerca e il relativo scambio con le strutture occidentali, ne hanno risentito di più. Problemi comuni trasversali sono quelli dell’acquisto di farmaci che prima arrivavano dall’Europa e sono reperibili o sostituiti da quelli provenienti dai mercati paralleli, dall’India alla Turchia. Stesso discorso vale per settori come quello della telefonia e dell’information tecnology, dove sta già avvenendo il passaggio dalla tecnologia occidentale a quella proveniente dall’Asia, che tradotto vuol dire meno Iphone e più Xiaomi.