La Russia ha incassato 158 miliardi di euro di entrate dalle esportazioni di combustibili fossili nei sei mesi di guerra in Ucraina, approfittando dei prezzi elevati, secondo un rapporto pubblicato oggi, martedì. "L'impennata dei prezzi dei combustibili fossili fa sì che le entrate attuali della Russia siano ben superiori a quelle degli anni precedenti, nonostante la riduzione dei volumi di esportazione", si legge nel rapporto del Centro di ricerca sull'energia e l'aria pulita (CREA), con sede in Finlandia.
Dall’inizio del conflitto, sempre secondo quanto ha scritto il CREA, l’UE è stata la principale importatrice di combustibili fossili dalla Russia, per un controvalore di 85 miliardi di euro (82,8 miliardi di franchi al cambio attuale). Nell'UE, i maggiori importatori sono stati Germania (19 miliardi), Paesi Bassi (11,1 miliardi), Italia (8,6 miliardi), Polonia (7,4 miliardi), Francia (5,5 miliardi). I proventi di queste esportazioni, ammonisce il Centro finlandese hanno contribuito per circa 43 miliardi di euro al bilancio federale russo, aiutandolo a finanziare la guerra in Ucraina. Dopo l'Unione europea, i principali acquirenti di energia russa sono Cina (35 miliardi), Turchia (11 miliardi), India (7 miliardi) e Corea del Sud (2 miliardi).
L’Istituto di ricerca indica anche che rispetto all'inizio dell'invasione c'è stato un calo del 18% dei volumi delle esportazioni di combustibili fossili russi, trainato da un calo del 35% delle esportazioni verso l'UE e solo parzialmente compensato da altri Paesi. L'impatto dello stop all'import di petrolio russo deciso da Bruxelles è ancora da valutare pienamente, si legge inoltre nel rapporto, ma gli acquisti europei sono già calati del 17% e sono destinati a diminuire del 90% quando il divieto sarà a pieno regime, alla fine dell'anno. L’UE ha già smesso di acquistare carbone, ma il gas russo, da cui dipende fortemente, non è stato toccato, almeno per ora, dalle sanzioni anche se per i prossimi mesi (leggi anche qui) la situazione potrebbe cambiare radicalmente.