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La pandemia ha un impatto anche sull’ambiente

Dalla comparsa del SARS-CoV-2, rivela uno studio, oltre 25'000 tonnellate di plastica sono finite negli oceani

  • 8 novembre 2021, 23:53
  • 20 novembre, 19:16
02:36

Radiogiornale delle 12.30 del 09.11.2021: il servizio di Claudio Bustaffa

RSI Info 09.11.2021, 14:02

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Di: ATS/M. Ang/RG/ludoC 

La pandemia ha un forte impatto anche sull’ambiente: lo conferma uno studio, secondo cui dalla comparsa del SARS-CoV-2 alla scorsa estate, oltre 8 milioni di tonnellate di plastica, tra mascherine, guanti e altri prodotti legati alla gestione del Covid-19 sono state riversate nell’ambiente. Di queste, almeno 25'000 sono finite negli oceani. La stima arriva da una ricerca (sottoposta a peer review) condotta dall’Università di Nanchino, in Cina, e dalla University of California di San Diego, pubblicata sulla rivista scientifica statunitense Proceedings of the National Academy of Sciences.

La pandemia, spiegano i ricercatori, ha portato con sé un drastico aumento dei consumi di plastica: mascherine, guanti, dispositivi medici monouso di ogni tipo. Inoltre, i lockdown hanno indotto un importante aumento degli acquisti on line e, conseguentemente, degli imballaggi. "Sfortunatamente, il trattamento dei rifiuti di plastica non ha tenuto il passo con l'aumento della domanda. I rifiuti non gestiti vengono quindi scaricati nell'ambiente e una parte raggiunge l'oceano", scrivono i ricercatori, secondo cui la quantità di plastica sfuggita agli impianti di smaltimento oscilla tra 4,4 e 15,1 milioni di tonnellate.

La gran parte della plastica in eccesso (circa l'87,4%) proviene degli ospedali; i dispositivi di protezione individuali, come le mascherine usate dalla popolazione, invece, incidono per il 7,6%, mentre la plastica in più derivante dallo shopping on line contribuisce per il 4,7%. La gran parte dei rifiuti (46%) è prodotta dall'Asia, seguita dall'Europa (24%) e infine da Nord e Sud America (22%).

I fiumi trasportano la plastica negli oceani

Lo studio ha rilevato come la plastica che finisce poi negli oceani è in gran parte trasportata da 369 grandi fiumi. Quelli che hanno un impatto maggiore sono il fiume Arvand, in Iraq, formato dalla confluenza del Tigri e dell’Eufrate e che sfocia nel Golfo Persico, il fiume Indo e lo Yangze in Cina, mentre in Europa il più inquinante è considerato il Danubio. La conseguenza principale è che si mette a rischio l’ambiente marino, e chi lo abita, con conseguenze enormi perché una volta nell’oceano la plastica può raggiungere ogni angolo del pianeta, finire nello stomaco di pesci, uccelli e altri animali, o depositarsi sulle spiagge. E una volta in mare, ovviamente è difficile raccoglierla e smaltirla.

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Mascherine e guanti in mare

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Preoccupazione per l'Artico

Entro la fine dell'anno, il 71% di questi rifiuti sarà depositata sulle spiagge, il rimanente si distribuirà più o meno equamente tra i fondali e la superficie marina con ricadute pesantissime sugli ecosistemi e sulla vita marina: "Sono già stati segnalati alcuni casi di intrappolamento e ingestione di rifiuti Covid-19 da parte di organismi marini, che hanno persino portato alla morte", sottolineano gli autori dello studio. Tra le aree che più preoccupano c'è l'Artico che, per via delle particolari correnti, è un vicolo cieco per il trasporto dei detriti: "Circa l'80% dei detriti di plastica scaricati nell'Oceano Artico affonderà rapidamente e si prevede che entro il 2025 si formerà una zona circumpolare di accumulo di plastica”.

Anche lo studio del Programma della Nazioni Unite per l’ambiente ha recentemente lanciato un allarme: stando alla ricerca, pubblicata prima dell’inizio della conferenza sul clima in corso a Glasgow, di questo passo l’inquinamento degli oceani a causa della plastica potrebbe raddoppiare entro il 2030.

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COP26, dalle parole ai fatti

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