Un approccio pragmatico, che più che arrivare a soluzioni vuole aprire processi, e cioè percorsi di dialogo concreti fra le parti, strade di lavoro comune che possano successivamente portare a dei veri e propri negoziati.
Un momento dell'incontro a Kiev fra il cardinale Zuppi e il presidente ucraino Zelenski
È questa la roadmap della diplomazia pontificia, fatta propria in questi giorni dal cardinale Matteo Zuppi, arcivescovo di Bologna, presidente dei vescovi italiani e a capo di una missione diplomatica affidatagli da Papa Francesco per la pace in Ucraina. Era già stato a Kiev, dove è stato ricevuto dal presidente Volodymyr Zelensky, e a Mosca, dove ha incontrato nell’ordine un consigliere di Putin, Yuri Ushakov, il patriarca russo ortodosso Kirill e Maria Lvova-Belova, commissario presso il Presidente della Federazione Russa per i diritti del bambino.
E ieri, martedì, l'inviato del Vaticano per la pace in Ucraina è stato a Washington per un colloquio con il presidente Joe Biden durato quasi due ore. Stando alla Casa Bianca, Biden e il cardinale Zuppi hanno discusso degli sforzi della Santa sede nel fornire aiuti umanitari per affrontare le sofferenze causate dall'aggressione della Russia in Ucraina, nonché dell'impegno del Vaticano per il ritorno dei bambini ucraini deportati in Russia.
Il dialogo di Zuppi è volto anzitutto a contribuire a lenire la sofferenza della popolazione, in particolare dei bambini, costretti in Ucraina ad abbandonare le proprie abitazioni e spesso, con la forza, ad espatriare in Russia: 19'592 secondo i dati forniti da Kiev. E insieme, la missione dell’arcivescovo di Bologna è di tenere aperta la porta di un possibile negoziato fra le parti, ad oggi tuttavia ancora lontano dal concretizzarsi.
La Santa Sede e la diplomazia umanitaria: è importante il ruolo di mediazione della chiesa e del Vaticano nella guerra in Ucraina?
Controcorrente 07.06.2023, 11:45
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La strada cinese
In questi dieci anni di Francesco al soglio di Pietro è questa pragmaticità che la diplomazia pontificia ha sempre provato a non disattendere. Un esempio sono le relazioni tenute con la Cina. Francesco desidera un primo e storico viaggio a Pechino. La meta è ancora lontana, ma negli ultimi anni le due parti si sono avvicinate. Vaticano e Cina hanno firmato e poi rinnovato uno storico accordo per regolamentare la nomina dei vescovi.
Prima dell’accordo Pechino nominava i suoi, mentre la Chiesa, di fatto, ne nominava di clandestini, consacrandoli senza seguire i protocolli imposti dagli apparati cinesi. Anche per questo motivo la vita dei cattolici in Cina era particolarmente difficile. Oggi la Santa Sede vuole collaborare, al fine anzitutto di rendere migliore, pur nelle limitazioni imposte loro, la vita di fede dei credenti cattolici. Non si sa quali frutti effettivi l’accordo porterà in futuro, ma il dato di un nuovo appeasement è agli atti.
La pace in Colombia
Francesco ha sostenuto in prima persona il processo che ha portato nel novembre del 2016 alla storica firma dell’accordo di pace fra i guerriglieri delle FARC e il governo colombiano. Anche se la fine del conflitto non ha fermato del tutto le violenze nel Paese, molti passi in avanti sono stati fatti. Papa Bergoglio si è recato in Colombia nel settembre del 2017 per sostenere il processo di pacificazione. La Chiesa è riconosciuta in Colombia come autorità morale. Se una firma c’è stata lo si deve anche alla sua azione. Ma che il raggiungimento della pace sia un processo da salvaguardare sempre, lo testimonia la presenza ancora attiva di gruppi paramilitari, alcuni legati al narcotraffico. Ma grazie alla firma dell’accordo di pace un nuovo processo è in itinere, e non è poco.
Le minoranze
L’agenda dei viaggi internazionali del Papa è stata dettata anche dalla necessità di sostenere le minoranze sofferenti in varie parti del mondo. Ne sono un esempio i viaggi in Cile e Perù (2018), Myanmar e Bangladesh (2018), Canada (2022). Una parte importanti dei giorni trascorsi in queste terre sono stati dedicati alle minoranze: i Mapuche in Cile, i Rohingya in Bangladesh, le diverse popolazioni indigene in Canada. In tutti e tre i viaggi Francesco ha cercato di far sì che l’opinione pubblica internazionale accendesse i riflettori sule problematiche legate alla vita concreta di queste minoranze.
Se in Canada ha voluto anzitutto chiedere scusa per gli abusi perpetrati dalle scuole cattoliche e cristiane su bambini autoctoni, in Cile e Bangladesh ha chiesto un cambio di passo da parte delle autorità rispetto alle difficili situazioni economiche ed anche rispetto alle violenze subite dai Mapuche e dai Rohingya. Ed anche se oggi poco è cambiato, il faro acceso dal Papa resta un pungolo per coloro che governano: con l’autorità morale della Chiesa devono comunque nel bene o nel male fare i conti.
L’Islam
Esiste anche un diplomazia rispetto al mondo islamico. Francesco non ha più insistito sulla teologia e sul rapporto teologico fra le due fedi, ma maggiormente sui risvolti pratici del rapporto fra le stesse fedi. Ovvero sulla opportunità che cristiani e islamici lavorino insieme per la pace nel mondo e collaborino per lenire le sofferenze delle popolazioni più in difficoltà. Il viaggio del 2019 negli Emirati Arabi Uniti, se è servito per firmare insieme al Grande Imam di Al-Azhar un “Documento sulla fratellanza umana per la pace mondiale e la convivenza comune”, ha anche contribuito ad aprire la strada di una pace fattiva laddove ancora imperversa la guerra. Così Francesco ha ricordato la crisi umanitaria del vicino Yemen chiedendo a musulmani e cristiani di collaborare.