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La violenza politica, fra USA ed Europa

Il punto sul fenomeno dopo l’attentato a Trump: quali i rischi di propagazione dall’America al Vecchio continente? Le considerazioni di un esperto

  • 3 ore fa
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Violenza politica: intervista a Stefano Luconi

SEIDISERA 15.07.2024, 18:16

  • Keystone
Di: SEIDISERA/Nicola Lüönd

Nelle ultime ore molto si è detto sul fatto che l’attentato a Trump sia l’apice di una violenza politica crescente negli Stati Uniti. Ma in realtà anche in altri Paesi si assiste a aggressioni fisiche e verbali crescenti nei confronti di candidati, parlamentari, ministri o premier. Sul tema abbiamo raccolto le considerazioni di Stefano Luconi, docente di storia degli Stati Uniti all’Università di Padova.

La storia degli USA è anche una storia di violenza: dall’assassinio di Abraham Lincoln, a quello tentato contro Ronald Reagan. C’è qualcosa di diverso, oggi, alla luce dell’attentato a Donald Trump?

Io a questa lista notoria aggiungerei anche l’eccidio all’Emanuel Episcopal Church nella Carolina del Sud del giugno del 2015: quando un razzista squilibrato assassinò 9 afroamericani, tra cui il pastore della chiesa, con l’intento dichiarato di innescare una guerra civile per scongiurare un presunto progetto di sostituzione etnica. Questo episodio fa un po’ da spartiacque tra la violenza politica del passato e quella odierna. E la differenza è data dal avvelenamento crescente di un dibattito politico in cui ci si confronta non più sulle idee e sui programmi, ma si punta a delegittimare, a demonizzare l’avversario. Poi c’è un contesto in cui la diffusione dei social annulla i freni inibitori: l’eliminazione dell’antagonista finisce per essere declinata in termini di eliminazione fisica; le fake news che corrono in rete alimentano un linguaggio divisivo e la violenza verbale incentiva la violenza fisica. Cioè, se le elezioni vengono presentate come una specie di questione di vita o di morte, allora tutto diventa lecito, perfino uccidere l’avversario. È un po’ questa, quindi, la differenza tra il presente e la violenza politica del passato.

Questo in relazione agli Stati Uniti. Ma sappiamo bene che è una realtà che sta prendendo piede anche in Europa, se pensiamo all’attentato recente contro il premier slovacco Robert Fico, oppure anche ad altre situazioni in cui persone candidate alle Elezioni europee, ad esempio in Germania, sono state messe in pericolo. Stiamo importando un po’ il modello americano?

Ma io direi che la situazione sta sicuramente peggiorando anche in Europa. Però è un ritorno al passato, seppure con gli strumenti del presente, i social, le fake news... Non è l’importazione del modello statunitense. In Europa è assente quella cultura delle armi, quella cultura del farsi giustizia da soli che è frutto di una plurisecolare esaltazione dell’individualismo, tipico degli Stati Uniti. Inoltre vorrei dire che la violenza politica è molto più radicata nella storia europea che in quella statunitense. In Europa abbiamo avuto dei regimi - quello fascista, quello nazista, quello franchista - che si sono fondati sulla legittimazione della violenza. Il 2024 è l’anno del centenario dell’assassinio di Giacomo Matteotti. E Jean Jaurès, il leader socialista francese contrario all’ingresso della Francia nella Prima guerra mondiale, fu ucciso nel 1914 per questo. Possiamo arrivare fino all’omicidio in Svezia di Olof Palme nel 1986. Cioè, non c’è un pregresso di innocenza europea che è venuto meno per la contaminazione statunitense.

Iniziamo insomma a guardare in casa in casa nostra. Ma lei vede il rischio che a questo punto i politici possano in qualche maniera autocensurarsi, non esprimersi come vorrebbero per certi timori su se stessi?

Ma se guarda agli Stati Uniti mi sembra un’ipotesi un po’ improbabile, in base ai precedenti. Dopo l’omicidio di Kennedy nel 1963, Lyndon Johnson non rarefece le sue apparizioni pubbliche e i bagni di folla. Né lo fece Ronald Reagan dopo essere stato ferito nell’attentato che ricordava lei. Sarebbe auspicabile un’ autocensura sulla violenza verbale, cosa che però mi sembra molto difficile con candidati come Trump. Ma un rischio di autocensura o di evitare il contatto con il pubblico non lo vedo molto probabile.

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