Sono passati dieci anni dal naufragio al largo di Lampedusa di un’imbarcazione carica di migranti, la maggior parte di nazionalità eritrea, salpati dalla Libia. Era il 3 ottobre 2013. I morti furono 368, i superstiti 155 e i dispersi 20. L’incidente calamitò l’attenzione dell’opinione pubblica sul tema e costrinse la politica - a livello europeo e nazionale - a prendere posizione e a confrontarsi sulla gestione di un fenomeno ancora oggi controverso e al centro di frizioni.
Negli spazi del Memoriale della Shoah di Milano è stata aperta un’esposizione, visitabile fino al 31 ottobre, che racconta questa tragedia attraverso gli oggetti appartenuti a chi ha trovato la morte in mare: “La memoria degli oggetti”.
“Sono oggetti di vita quotidiana”, ci spiega il presidente del Memoriale della Shoah Roberto Jarach, “colpisce il fatto che questa gente che arrivava senza una valigia, aveva una sua dignità nel vestire e portava un pezzo della propria identità con sé, come per esempio una collanina”.
Tra gli oggetti esposti anche molti telefonini, che servivano e servono ancora oggi a tutti i migranti che decidono di attraversare il Mediterraneo per rimanere in contatto con i propri familiari.
La mostra si compone anche di fotografie scattate dall’italo-marocchino Karim El Maktafi e dei disegni di Adal Neguse, un rifugiato eritreo, che oltre ad aver perso il fratello in mare, ha ritratto le torture subite dai suoi connazionali in patria, poi acquisiti dalle Nazioni Unite proprio per condannare il regime di Asmara per crimini contro l’umanità. A disposizione dei visitatori anche alcuni video prodotti dalla RAI in cui vengono riproposti i momenti dei soccorsi, le testimonianze dei sopravvissuti e di chi si è trovato a gestire la tragedia, come l’allora sindaca di Lampedusa Giusi Nicolini.
Per il Memoriale, questa esposizione rappresenta il secondo capitolo nella sua storia di accoglienza dei migranti. Tra il 2015 e il 2017 infatti, ha fisicamente accolto centinaia e centinaia di migranti. Ha offerto loro una brandina, dei pasti, un luogo sicuro dove rimanere.
“Arrivavano qui con il sale sulla pelle, si vedeva a occhio nudo che avevano ancora il sale depositato, …”, ricorda Roberto Jarach. A distanza di centinaia di chilometri, arrivavano dal Mediterraneo ancora con il mare addosso. “Abbiamo subito provveduto a far installare delle docce nei bagni presenti nella struttura. Era sicuramente la prima esigenza fisica che questa gente aveva, prima ancora di mangiare. Era importante ridare la dignità a queste persone”.
E ridare la dignità a delle persone proprio nel posto in cui decenni prima altre ne furono completamente private, salendo sui convogli diretti ai campi di concentramento, è l’antidoto più forte che il Memoriale ha trovato per contrastare tutte quelle deviazioni dell’agire umano, che hanno portato e portano al perpetrarsi delle ingiustizie.
Entrando negli spazi del Memoriale della Shoah, nell’area della stazione centrale di Milano, si viene accolti da una grande scritta: “Indifferenza”. Questa parola è stata scelta da Liliana Segre, sopravvissuta all’Olocausto. “L’indifferenza”, ha spiegato in più occasioni la senatrice a vita, “racchiude la chiave per comprendere la ragione del male, perché quando credi che una cosa non ti tocchi, non ti riguardi, allora non c’è limite all’orrore. L’indifferente è complice”.
In mostra gli oggetti della tragedia di Lampedusa
Alphaville 13.10.2023, 11:30
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Lampedusa, a 10 anni dalla strage in cui morirono 368 persone
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