La caduta di Bashar al-Assad è stata una pessima notizia per il presidente ucraino Volodymr Zelensky: se la fine del regime siriano dell’alleato di Vladimir Putin può essere interpretata come una sconfitta per il Cremlino, è evidente che la Russia sarà più concentrata sulla scacchiera ucraina. Per Mosca è una questione di priorità e il conflitto con Kiev è percepito come esistenziale, molto più di quanto non possa essere la proiezione strategica sul Mediterraneo e il ruolo sul palcoscenico mediorientale. Al di là dunque delle valutazioni esterne e parziali sulle ragioni del disimpegno in Siria, la Russia punta tutto sulla risoluzione a proprio favore della guerra in Ucraina. E questo è appunto lo scenario, ancora più problematico, che Zelensky dovrà affrontare nei prossimi mesi.
L’Ucraina in difesa
La situazione al fronte è in continuo peggioramento. L’Ucraina ha perso terreno sia nella regione russa di Kursk, dove ad agosto aveva iniziato l’incursione trasformatasi poi in una trappola, sia nel Donbass: qui le forze russe hanno aumentato la pressione in maniera progressiva e rapida e sono arrivate ormai al nodo strategico di Pokrovsk, a nordovest di Donetsk, una delle ultime roccaforti sulla direttrice che porta a Pavlograd e a Dnipro; le truppe del Cremlino progrediscono anche a nord, verso Kramatorsk e Sloviansk.
La Russia prosegue inoltre con i bombardamenti sulle infrastrutture energetiche e di trasporto, mentre le risposte dell’Ucraina, anche con l’utilizzo delle armi a lungo raggio come i missili statunitensi ATACMS, non sembrano per ora aver sortito effetti rilevanti da cambiare il corso del conflitto. L’arrivo dell’inverno ha iniziato a rallentare i ritmi, ma la tendenza rimane quella già evidenziata ormai dall’estate del 2023, dopo il fallimento dell’annunciata controffensiva ucraina e la presa dell’iniziativa costante da parte della Russia. Anche se l’impegno miliare in Siria era comunque contenuto, Mosca può concentrare gli sforzi restringendo gli orizzonti e concentrando gli obbiettivi.
La diplomazia al lavoro
Le ultime settimane, dopo il voto presidenziale negli Stati Uniti, hanno anche aperto lo spazio ai tentativi di dialogo, seppur nel solito contesto caratterizzato dalla propaganda e dal gioco delle parti: è comunque evidente che sia a livello concreto, con i vari contatti tra il Cremlino e la Casa Bianca e alcune cancellerie occidentali, da Berlino a Budapest, che a livello mediatico, con i rumori di piani veri o presunti piani di pacificazione, si sta assistendo a una fase in cui la diplomazia può iniziare a investire un ruolo importante, aiutata anche dallo spostamento degli equilibri su altri palcoscenici, come quello siriano appunto.
Significativo anche che un tema del dibattito politico e mediatico occidentale si diventato quello dei peacekeeper da inviare in Ucraina una volta concluso il conflitto e non più quello emerso qualche mese fa delle truppe NATO da affiancare a quelle ucraine a guerra in corso. L’argomento è stato sollevato dal presidente francese Emanuel Macron e dal premier polacco Donald Tusk e al di là delle speculazioni fa capire come stia cambiando la linea europea, anche in attesa di vedere che posizioni prenderà concretamente Donald Trump.
Il Cremlino in vantaggio
I piani del nuovo presidente statunitense e del nuovo inviato speciale per l’Ucraina, il generale in pensione Keith Kellogg, non sono ancora noti, ma se collimeranno con quelli filtrati a grandi linee pubblicamente, potranno delineare rapidamente una tendenza, soprattutto se verrà confermata la linea della riduzione degli aiuti militari a Kiev, che costringerà Zelensky a cercare un compromesso con Putin. Da questo punto di vista l’andamento del conflitto e le chance della diplomazia sono direttamente collegate e al momento vedono la Russia in posizione di vantaggio. Il Cremlino da parte sua ha ribadito anche negli ultimi giorni la possibilità a negoziati, partendo sempre dallo status quo e dal futuro status dell’Ucraina fuori dalla NATO, rifiutando comunque tregue temporanee che secondo Putin darebbero solo respiro a Zelensky.
A Kiev il capo di Stato deve fare in ogni caso buon viso a cattivo gioco, consapevole che il destino del Paese dipende dalle scelte della Casa Bianca. Il cosiddetto piano della vittoria ucraina presentato in autunno non sembra essere stato accolto con successo né a Washington né altrove e il recente incontro a Parigi tra Trump, Macron e Zelensky a margine della riapertura di Notre Dame non sarà ricordato per il prossimo forte posizionamento degli USA a fianco dell’Ucraina: secondo indiscrezioni di stampa Trump avrebbe anticipato la futura cautela statunitense, non l’abbandono totale del sostegno, ma comunque la volontà di puntare su una exit strategy diplomatica.
Ucraina, nuovi attacchi di Mosca sulle infrastrutture energetiche
Telegiornale 13.12.2024, 12:30