Sono stati chiusi da poche ore i seggi in Myanmar, dove 37 milioni di elettori sono stati chiamati a rinnovare i due rami del Parlamento e ad eleggere anche diverse autorità locali. Un voto visto come una sorta di referendum sull'esecutivo, guidato dalla premier de facto, Aung San Suu Kyi, il cui partito è dato come favorito.
Si temeva che la paura del coronavirus - un migliaio i nuovi contagi ogni giorno nel Paese - avrebbe scoraggiato gli elettori, ma le lunghe file ai seggi fanno pensare che non sia stato così.
Molti hanno potuto votare in modo anticipato, modalità organizzata soprattutto pensando alle categorie più a rischio; un sistema che hanno utilizzato anche la premier de facto Aung San Suu Kyi e alcuni esponenti dell'opposizione. Opposizione che ha espresso scetticismo su questo sistema, dichiarando di temere brogli.
Altro elemento poco rassicurante è stata l'esclusione dal voto di circa 2 milioni di cittadini. Un diritto negato dalla Costituzione a chi appartiene a determinate minoranze o soppresso per la mancata apertura dei seggi nelle zone di conflitto. Chi ha potuto esprimersi, stando ai sondaggi, ha scelto a maggioranza il partito al potere, la Lega nazionale per la democrazia di Aung San Suu Kyi.
Bisognerà attendere la fine dello spoglio delle schede per sapere quanti altri elettori abbiano deciso di appoggiare Aung San Suu Kyi, il cui esecutivo ha certamente deluso su alcuni aspetti: dalla crescita economica (che non è riuscita a contrastare la povertà dilagante nel Paese), alla mancata concessione dell'autonomia alle minoranze etniche (che la inseguono da tempo). Minoranze rappresentate da partiti che potrebbero sottrarre voti a quello di Aung San Suu Kyi, dando così ulteriore forza ai militari, che grazie alla Costituzione possono contare su un quarto dei seggi in Parlamento.