reportage

A Sabra e Shatila gli sfollati si aggiungono agli emarginati

Nei campi profughi palestinesi a Beirut ora cercano riparo anche i libanesi vittime degli attacchi israeliani

  • 30 ottobre, 08:01
  • 11 novembre, 09:32
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Uno scorcio del campo profughi di Shatila

  • Marco Lupis
Di: Marco Lupis (da Beirut) 

Nei vicoli stretti di Shatila, ancora adesso ogni angolo è pieno di immagini, slogan, murales che celebrano la resistenza armata e i leader palestinesi. Su un muro un grande Arafat quasi sorridente ci guarda, con alle spalle la bandiera palestinese che garrisce al vento. Ai bambini viene sempre insegnato a inneggiare alla Palestina, anche se, probabilmente, non hanno nemmeno chiaro dove si trovi.

Malgrado Sabra e Shatila, memoria perenne di uno dei più brutali massacri mai perpetrato in queste terre, restino dei simboli potentissimi del sentimento del popolo palestinese, oggi, ai tempi dei bombardamenti israeliani che continuano, notte dopo notte, a colpire le zone a sud di Beirut, a poca distanza da qui, questi ex campi profughi sono attraversati da profonde trasformazioni, abitati, come sono da tempo, da migliaia di rifugiati siriani, e da una umanità emarginata e dolente fatta di tossicodipendenti, collaboratrici domestiche provenienti dall’Africa subsahariana e dai tanti poveri cacciati dai quartieri riqualificati di Beirut. In queste ultime settimane, poi, a questi si sono aggiunti gli sfollati in fuga dalle aree del Libano meridionale sotto attacco incessante da parte dell’armata israeliana, che si sistemano alla meglio nelle baraccopoli e negli edifici in rovina.

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Ovunque le bandiere palestinesi

Le immagini dei corpi smembrati e le grida disperate di chi cercava di fuggire dal massacro di 42 anni prima, aleggiano sempre nelle vie devastate, tra le case tirate su in qualche modo, spesso più simili a grandi baracche che a edifici. Per giorni interi, con la complicità dell’esercito israeliano che aveva invaso il Libano nel 1982, i miliziani falangisti cristiani di Bashir Gemayel, per vendicarsi del suo assassinio, uccisero con armi da fuoco, coltelli e accette, fino a 3’500 uomini, donne e bambini palestinesi rifugiatisi qui dopo la Nakba, l’esodo causato dalla nascita dello Stato di Israele del 1948. Il numero delle vittime, prevalentemente palestinesi e sciiti libanesi, non è stato mai stabilito con certezza, mentre l’esercito di Israele e il ministro della Difesa Sharon furono accusati di non aver fermato il massacro. Impossibile non pensare a ciò che sta accadendo a Gaza, seppure in una scala e in un contesto storico differenti.

Abu Moujahed dirige il Children and Youth Center, da sempre punto di riferimento per chi arriva qui e per chi ci resta. Adesso anche questa struttura è alle prese con i nuovi arrivi degli sfollati libanesi. “Cerchiamo di fare tutto quel che possiamo”, dice, “apriamo le porte del centro a tutti, ma non è facile. Non ci fidiamo più dei governi e delle agenzie umanitarie, che parlano di diritti umani mentre contribuiscono al nostro annientamento. Il sangue dei palestinesi è lo stesso di chi è oppresso in America Latina, in Africa e in altre parti del Medio Oriente. Siamo pronti a tendere la mano di nuovo, ma le condizioni devono cambiare. I presupposti devono cambiare”.

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Un murales con il volto di Arafat

  • Marco Lupis

Adesso in Libano il numero dei profughi provenienti dalle zone colpite ha superato il milione e 200 mila persone, ma solo 180’000 di loro sono ufficialmente registrati e ospitati in rifugi approvati. Dopo essere fuggiti dagli incessanti bombardamenti israeliani, gli sfollati libanesi si ritrovano per strada, privati ​​dei bisogni umani fondamentali. I ministeri interessati affermano di fare “del loro meglio”, secondo il primo ministro uscente Najib Mikati, con la realizzazione di 1’000 rifugi.

Quelli che hanno trovato una parvenza di rifugio tra le strade di Sabra e Shatila sono spesso i più poveri e i più disperati.

Nel 2005 Muhammad al-Khatib ha aperto qui il Museo della Memoria, per non dimenticare. “Alla mia età e visti i miei problemi di salute stavo progettando di trasferire tutto quanto”, ci dice appoggiandosi al suo bastone, “quello che è accaduto il 7 ottobre ho cambiato idea…  Adesso parlano dare il via ad una nuova guerra? Non ho paura di loro, perché da qualche parte  ci saranno sempre dei palestinesi disposti a combattere e morire per il nostro diritto di tornare nella nostra terra”.

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1 miliardo di aiuti per il Libano

Telegiornale 24.10.2024, 20:00

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