La decisione di Joe Biden di autorizzare l’Ucraina a colpire in profondità in territorio russo con missili a lungo raggio arriva in un momento difficile per le truppe di Kiev, sotto pressione lungo tutta la linea del fronte e anche a Kursk, la regione russa di confine dove le forze ucraine dallo scorso agosto hanno occupato una piccola porzione di territorio e ora rischiano di essere respinti. Soprattutto nel Donbass, proprio da quando è iniziata l’operazione di Kursk, l’esercito di Kiev ha perduto molte posizioni e quello russo è avanzato celermente lungo varie direttrici, verso i centri di Pokrovsk e Kostantinivka, snodi fondamentali verso Pavlograd e Dnipro a ovest e Kramatorsk e Sloviansk a nord.
Anche a sud, nelle regioni di Zaporizha e Kherson, sono stati segnalati nuovi concentramenti di truppe per eventuali offensive anche nel periodo invernale. Mentre da Kiev e Occidente si è lanciato l’allarme per i rinforzi dalla Corea del Nord che la Russia avrebbe messo in campo, Mosca da un lato ha proseguito con la propria strategia di una progressione lenta, ma decisa sul campo, accompagnata dai bombardamenti costanti sulle infrastrutture, energetiche e di trasporto.
Offensiva russa in Ucraina
Telegiornale 17.11.2024, 20:00
Una vera svolta?
In questo contesto la svolta di Biden può essere letta innanzitutto dal punto di vista militare, e questa sembra essere anche la narrazione suggerita da Washington. Con l’Ucraina dunque in difficoltà la Casa Bianca ha deciso di soddisfare la richieste ucraine, preoccupata soprattutto dalla presenza delle truppe nordcoreane a Kursk, la regione dove sarebbe stato concesso l’utilizzo dei missili a lungo raggio, come gli ATACMS di fabbricazione statunitense, per frenare il recupero russo. In realtà già a maggio era stato dato il via libera per colpire obbiettivi nella regione di Belgorod, a sud di quella di Kursk, dopo che erano ripresi gli attacchi russi nella zona di Kharkiv. Inoltre nei mesi precedenti Kiev aveva utilizzato missili SCALP- Storm Shadow, franco-britannici, per raggiungere bersagli in Crimea.
A prima vista quindi la decisione del presidente uscente si inserisce in un binario imboccato da mesi, con vista la limitazione geografica dell’utilizzo dei missili che potrà essere revocata, ma che al momento non indica una definitiva escalation. Dal punto di vista strettamente militare, alla luce dell’andamento della guerra, è evidente che sino ad ora non ci sono state forniture di armi occidentali che abbiano cambiato il corso del conflitto, che si siano dimostrate cioè veramente dei game changer: non lo è stato con i vari carri da combattimento Abrams o Leopard, né con i caccia F16, né con i missili a lungo raggio già utilizzati.
Le contromisure russe
Anche l’impiego di ATACMS, SCALP-Storm Shadow o dei tedeschi Taurus non sortirà grandi cambiamenti, poiché, come sottolienato sempre dagli analisti più accorti, nel contesto di una guerra di attrito la conduzione di una campagna di successo dipende da molti più fattori che non dall’utilizzo di una sola specifica arma, senza contare la capacità di adattamento dell’avversario, come ha dimostrato nello specifico la Russia reagendo all’utilizzo dei lanciarazzi multipli HIMARS, che secondo molti commentatori e le speranze ucraine avrebbe dovuto già cambiare le sorti durante la controffensiva ucraina nell’estate del 2023, poi finita nel nulla. Al di là quindi della quantità dei missili che potranno colpire bersagli in Russia, i conti vanno fatti anche con le capacità di difesa di Mosca. Lo scorso settembre lo stesso ministro della Difesa Loyd Austin ha dichiarato che le armi a lungo raggio non potranno essere dei game changer proprio perché la Russia ha già adottato le contromisure.
L’aspetto politico
Ecco dunque che oltre alla lettura militare della decisione della Casa Bianca, appare più significativa quella politica, che parte sempre dalla situazione negativa e in rapido peggioramento per l’Ucraina sul terreno. Con Kiev che dipende in maniera assoluta dagli aiuti militari statunitensi e della NATO, è chiaro che del quadro attuale è responsabile soprattutto Joe Biden, che in quasi tre anni di guerra non ha mai soddisfatto le richieste del presidente ucraino Volodymy Zelensky, per l’ovvia ragione di voler evitare l’escalation nucleare con la Russia. Prima del prossimo passaggio di consegne a Donald Trump, Biden sembra aver voler dato un segnale comunque di sostegno all’Ucraina, senza però alzare il livello del confronto con Vladimir Putin, al di là di quelle che sono le dichiarazioni propagandistiche da una parte e dall’altra.
La realtà è che il cosiddetto piano della vittoria elaborato da Zelensky negli scorsi mesi e presentato a Washington e nelle cancellerie occidentali non è stato accolto con entusiasmo e non pare essere una garanzia di successo per Kiev: con l’arrivo di Trump alla Casa Bianca si apre una nuova fase del conflitto, che sarà segnata più dal lavoro della diplomazia che dai missili a lungo raggio. L’impressione è che si stia aprendo una finestra per cominciare forse un dialogo con la Russia, che partirà da quella posizione di forza che le sta dando l’andamento del conflitto. Zelensky ha dichiarato che con Trump la guerra finirà prima, già nel 2025, ma resta da vedere se il Cremlino sarà davvero d’accordo e a quali condizioni.
Se poi gli annunciati attacchi ucraini in Russia diventeranno una spina nel fianco, si dovranno attendere dure reazioni.