“I bisogni a Gaza sono enormi”: è la prima frase che mi dice Yahya Sarraj, ex-docente universitario di ingegneria dei trasporti e sindaco di Gaza dal 2019. Il collegamento via video si interrompe più volte. Il sindaco si mostra con sciarpa e cappotto: “Qui fa molto freddo adesso, le tende in cui vivono le famiglie non sono adatte per donne e bambini… non abbiamo ancora ricevuto caravan e case mobili. Migliaia di persone sono accampate tra le macerie delle proprie case”.
Di fronte a una situazione umanitaria catastrofica, le autorità locali provano a individuare le risposte per i bisogni essenziali. Dopo 15 mesi di guerra la maggior parte della Striscia di Gaza è stata devastata, inclusa la sua principale città. Il sindaco di Gaza City indica quattro priorità: “Primo, garantire acqua in quantità e qualità. Secondo, garantire una ragionevole e decente raccolta dei rifiuti e il loro trattamento”. Il terzo è proprio il recupero delle macerie e cemento accumulati nelle strade. E il quarto, è la riapertura di quelle strade – spiega – “occupate dalle macerie di edifici distrutti: scuole, moschee e chiese”.
Si vedono famiglia accampate in un’unica stanza, senza acqua né bagno
Yahya Sarraj, sindaco di Gaza City
Gaza City, distruzione all’80%
La devastazione è enorme: “In città la distruzione degli edifici è intorno all’80%. Alcune persone vivono nelle tende…altre sono rifugiate ancora in scuole o in qualsiasi luogo riescano a trovare. Camminando in città, si vedono famiglie accampate nell’unico locale rimasto in piedi di edifici completamente distrutti….senza acqua né bagni… le condizioni sono davvero pessime”, spiega l’ingegner Sarraj, 62 anni.
E aggiunge: “In circa due mesi potremo rimuovere gran parte delle macerie e riaprire molte strade. Questo però dipende dalla disponibilità di strumenti adeguati: cioè veicoli e attrezzature necessari per riaprire le strade e rimuovere l’enorme quantità di cemento che ne blocca molte. Ma ci mancano i mezzi: l’ingresso nella striscia di ruspe e bulldozer non è stato autorizzato in numero adeguato”. L’accordo di tregua prevede anche la consegna proprio di questi veicoli. Finora, dice il sindaco, “non sono sufficienti: la gente si sente arrabbiata e insoddisfatta, ci chiedono di lavorare di più, ma a volte ci sentiamo paralizzati perché non riusciamo a rispondere alle loro richieste”.
Il problema più urgente – insiste – è proprio la consegna nella Striscia delle attrezzature per rimuovere le macerie e iniziare a ricostruire.
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Il sindaco di Gaza City Yahya Sarraj durante l'intervista in video-call
Anche gli ospedali ridotti in macerie
Nei 15 mesi di guerra in risposta ai massacri commessi da Hamas il 7 ottobre 2023 in Israele con oltre 1200 morti, sono state prese di mira sistematicamente le strutture sanitarie. Oltre ai 48mila palestinesi uccisi dai bombardamenti – di cui circa 17mila minorenni -, si contano 110mila feriti e migliaia di bambini amputati. Ma di fatto quasi nessun ospedale funziona.
“Le istituzioni sanitarie e gli ospedali sono stati attaccati senza motivo durante questa guerra” dice il sindaco nell’intervista in video-call con la RSI. “Molti ospedali sono fuori servizio: il ministero della sanità sta cercando di riabilitare ospedali e centri sanitari per poterli usare. Ma non hanno materiali per la ricostruzione né attrezzature. E soprattutto non hanno abbastanza personale per operare queste strutture: i bisogni sono davvero grandi”.
La proposta di Trump? “Non ce ne andremo”
“La gente qui non è disposta a lasciare il proprio paese. Ho parlato con molte persone: dicono che questa è la loro terra e non intendono andare da nessuna parte”. Risponde così Yahya Sarraj quando gli chiedo come reagisce la sua gente alla proposta di Donald Trump di espellere oltre due milioni di persone dalla Striscia di Gaza.
Hamas? Sono qui per servire la mia gente e non un partito
Yahya Sarraj, sindaco di Gaza City
“I palestinesi vogliono continuare a vivere a Gaza. Hanno ricominciato a ricostruire le loro vite. Se lei cammina per la città vedrà molti negozi aperti, caffè, e poi internet inizia a funziona in molti luoghi…qui la gente è viva e sta tornando alla vita”, dice ancora il sindaco prima che la comunicazione si interrompa per l’ennesima volta. È molto paziente: gli chiedo di ricominciare da dove si è interrotto: “Le persone non hanno abbastanza attrezzature soldi, materiale edile… ma stanno facendo ciò che possono”.
“Non sono il sindaco di Hamas ma di tutti”
Yahya Sarraj, titolare di un dottorato di ricerca in ingegneria civile ottenuto in Gran Bretagna, è stato vice-rettore per gli affari esterni dell’Università di Gaza. La sua nomina a sindaco risale al 2019, quando al potere c’era Hamas. Lei è stato nominato da Hamas? “Non sono stato nominato da Hamas ma da un gruppo di prominenti membri della società civile”, risponde con tono pacato. “Sono qui per servire la mia gente e non per servire alcun partito politico. Faccio del mio meglio per aiutare chiunque senza alcuna discriminazione: cristiani, musulmani… al di là del loro credo religioso o dell’appartenenza politica”.
Il futuro è colmo di incertezza. Non è chiaro che ne sarà della di Gaza, mentre stanno per iniziare le trattative per la cosiddetta seconda fase della tregua, che in teoria prevede il ritiro totale dell’esercito israeliano dalla Striscia e la fine della guerra. Netanyahu dice: Hamas non può restare a Gaza. Cosa accadrà, chiedo al sindaco? “Tutto quello che chiediamo è che i palestinesi possano essere liberi di decidere, di lavorare, di attraversare liberamente le frontiere, di commerciare. Meritano di vivere come le altre persone nel mondo”.
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Gaza, la fragile tregua
Falò 04.02.2025, 21:20