Guerra in Ucraina

Per Kiev il 2024 si chiude nel segno dell’incertezza

A segnare le sorti del conflitto saranno soprattutto le decisioni che verranno prese a Washington con il ritorno al poter di Trump: prosieguo de combattimenti o exit strategy?

  • 29 dicembre 2024, 09:17
  • 30 dicembre 2024, 05:54
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Soldati ucraini feriti, a Pokrovsk

  • Keystone
Di: Stefano Grazioli 

Il 2024 si chiude per Volodymyr Zelensky nel segno dell’incertezza. Il conflitto ha preso ormai da tempo una piega sfavorevole per l’Ucraina e sul prosieguo pesano, più che la volontà del presidente di continuare a combattere, le decisioni che verranno adottate a Washington nelle prossime settimane e nei prossimi mesi dal nuovo inquilino della Casa Bianca, Donald Trump. Negli Stati Uniti verrà in sostanza deciso se e come verrà data la possibilità a Kiev di continuare il conflitto, resistendo all’avanzata russa e riaccendendo forse la speranza di poter ribaltare il tavolo, con l’opzione però più realistica di una exit strategy che in questo momento, con la Russia in vantaggio sul terreno, non può non far pensare che a un compromesso al ribasso per l’Ucraina.

Negli scorsi dodici mesi, o per meglio dire dall’inizio del conflitto, l’alleanza occidentale ha soddisfatto solo parzialmente le richieste di aiuti militari fatte da Zelensky, portando di fatto alla situazione attuale. L’arrivo di Trump, viste almeno le intenzioni dichiarate alla vigilia, farebbe presupporre l’apertura di un dialogo per la risoluzione della guerra tra USA e Russia; è infatti sull’asse tra Washington e Mosca che si gioca e giocherà il destino di Kiev. Con Zelensky che non può fare altro che attendere.

Il disastro di Kursk

Quest’anno è stato per il capo di Stato ucraino sostanzialmente negativo. Già nel secondo semestre del 2023 si erano viste le avvisaglie, dopo la controffensiva tanto annunciata e in realtà mai realizzata che, secondo i piani di Kiev, avrebbe dovuto condurre al respingimento delle forze russe fuori dal Donbass e dalla Crimea. Da allora la lenta progressione delle truppe del Cremlino non si è fermata. La scorsa estate Zelensky ha tentato di sparigliare le carte, con l’incursione improvvisa nel territorio di Kursk, che però si è trasformata in un disastro: guidata dal generale Olexandr Syrsky, il capo delle Forze armate che all’inizio dell’anno aveva sostituito Valery Zaluzhny, l’offensiva ucraina ha lasciato però aperto il fianco del Donbass, dove le forze di Mosca hanno trovato sempre meno resistenza, allargando in maniera forse decisiva il perimetro degli oblast di Luhansk e Donetsk. Se a sud, tra quelli di Zaporizhia e Kherson, si è spostato poco, l’Ucraina sulla linea orientale del fronte ha dovuto subire varie sconfitte, partendo da quella di Avdiivka. Al di là dei problemi di mancanza di uomini e armi, anche le scelte adottate dai vertici politici e militari hanno avuto un peso decisivo.

Nessun game changer

L’incursione di Kursk per Zelensky avrebbe dovuto mettere pressione al Cremlino, costringendo la Russia alla difensiva sul campo e destabilizzando il sistema putiniano anche a Mosca, ma gli obiettivi non sono stati realizzati. Dopo cinque mesi le truppe russe hanno riconquistato circa la metà del territorio, privilegiando un ritmo lento e usurante per quelle ucraine, non più in grado di avanzare e messe poi in difficoltà in difesa. Kiev ha sì iniziato a colpire in profondità il territorio russo con i missili ATACMS e SCALP-Storm Shadow, ma senza poter imprimere un cambiamento di rotta. Nel 2024 gli alleati occidentali hanno fornito i sistemi missilistici a lunga gittata e i caccia da combattimento F-16, ma né gli uni né gli altri hanno dimostrato sino ad ora di poter essere dei veri game changer. Questione certamente di quantità, ma anche del fatto che nella cornice di una guerra di logoramento i fattori che possono essere determinanti non si riducono solo ai tipi di armi in gioco. Le aspettative ucraine in questo senso sono state quantomeno congelate.

Prospettive di pace

A rimanere nel frigorifero sono dunque i progetti di recuperare i territori occupati dalla Russia dal 2014, Crimea e Donbass, e anche il cosiddetto piano della vittoria elaborato da Zelensky è stato accantonato, dopo che la sua presentazione lo scorso autunno ai leader occidentali non aveva avuto molto successo. A Kiev il capo di Stato ha attraversato dunque il suo anno peggiore, anche sul lato interno: a maggio è scaduto il suo mandato, dopo il voto nel 2019, ma l’impossibilità di tenere nuove elezioni a causa del conflitto lo ha mantenuto alla Bankova, la residenza presidenziale nel centro della capitale. Il consenso è però diminuito sensibilmente, rispetto a quello quasi assoluto all’inizio del conflitto. I sondaggi più recenti hanno mostrato che gli ucraini sono stanchi della guerra e la maggioranza di loro sarebbe disposta anche alla cessione di territori pur di raggiungere la pace.

L’inizio del 2025 sarà perciò decisivo per capire quale sarà anche il destino del presidente, legato al sostegno occidentale: nell’ipotesi di una road map di pacificazione durante il prossimo anno, l’appuntamento con nuove elezioni sarebbe uno dei primi ad essere messi in calendario e un eventuale secondo mandato per Zelensky dipenderebbe appunto dalle condizioni di chiusura del conflitto. Dietro le quinte la corsa alla successione è già cominciata.

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