Saint Kitts and Nevis non può sentirsi "totalmente libero" sotto un re, secondo quanto affermato una settimana fa dal premier Terrance Drew in un'intervista alla BBC. Tanto più nel ricordo del passato schiavista e coloniale dell'ex impero britannico. E per quanto Carlo III sia da elogiare per aver ordinato di recente un'apertura degli archivi che permetterà di approfondire le responsabilità storiche della sua dinastia e dello Stato britannico, solo le scuse formali (mai pronunciate) sarebbero "un passo nella giusta direzione per riconoscere davvero che qualcosa di sbagliato fu fatto".
Il governatore generale di Giamaica Patrick Allen il giorno dell'incoronazione di Carlo III
Chi il prossimo, Belize o Giamaica?
Lo Stato insulare delle Piccole Antille, che ha meno di 50'000 abitanti, allunga così la lista dei Paesi del Commowealth di cui il sovrano del Regno Unito è formalmente ancora il re ma che sono intenzionati a trasformarsi in repubbliche in un futuro più o meno prossimo. L'invocazione "God save the king" non è particolarmente popolare nemmeno in Belize, dove una commissione sta già discutendo della questione e dove basterebbe un voto parlamentare, ad Antigua e Barbuda, che vorrebbe chiamare il popolo alle urne entro tre anni, e in Giamaica, dove il referendum per tagliare il legame con la monarchia potrebbe tenersi già nel 2024. Le Barbados avevano fatto il passo nel 2021, sotto Elisabetta II. Sono state le prime a prendere questa decisione dal 1992, quando toccò a Mauritius.
Lo stendardo della regina rimosso a Bridgetown, nella cerimonia che segnò il passaggio della Barbados da monarchia a repubblica, nel 2021. C'era anche Carlo, allora ancora erede al trono
Il cambio sul trono accelera i tempi
Il decesso della regina nel settembre dello scorso anno e l'avvento di Carlo III, incoronato sabato 6 maggio, non hanno frenato le tendenze repubblicane, anzi: i Paesi citati sono diventati indipendenti fra il 1962 e il 1983, quando Elisabetta II era già sul trono, e con essa sentivano un legame che con Carlo non c'è.
L'incoronazione di Re Carlo III
Telegiornale 06.05.2023, 20:00
Tra l'altro l'ex sovrana era nata nel 1926, l'anno della dichiarazione Balfour che con lo Statuto di Westminster ha posto le basi del Commonwealth di cui tutti questi reami fanno parte. La dichiarazione specificava che quelli che allora erano chiamati "dominions" andavano considerati...
.... autonomous Communities within the British Empire, equal in status, in no way subordinate one to another in any aspect of their domestic or external affairs, though united by a common allegiance to the Crown, and freely associated as members of the British Commonwealth of Nations
ovvero "comunità autonome in seno all'Impero britannico, uguali in status, in nessun modo subordinate l'una all'altra in alcun aspetto dei loro affari interni e internazionali, ma unite da una comune fedeltà alla Corona e liberamente associate in quanto membri del Commonwealth delle nazioni".
Ma cos'è il Commowealth delle nazioni?
Il Commonwealth (letteralmente "benessere comune") delle nazioni è un'associazione volontaria di 56 Paesi che dialogano su base ugualitaria allo scopo di promuovere fra l'altro la cooperazione economica. Conta 2,5 miliardi di abitanti, quasi un terzo della popolazione mondiale, ma l'India da sola fa il 60% di questa cifra. Quasi tutti erano parte dell'Impero britannico (fanno eccezione in quattro, fra cui il Togo e il Gabon, ultimi ad aderire nel 2022) e proprio per questo presentano generalmente un'eredità comune non solo linguistica, ma anche legislativa e amministrativa. Però solo il Regno Unito e altri 14 Stati indipendenti riconoscono attualmente Carlo come loro sovrano. Gli altri sono repubbliche (la grande maggioranza) o monarchie con un proprio re. Tutti comunque riconoscono a Carlo il titolo onorifico di capo dell'organizzazione.
I poteri di Carlo nei reami
In quanto capo di Stato, nei Paesi che ancora lo riconoscono come sovrano Carlo III è rappresentato da un governatore generale. Di regola quest'ultimo ha una funzione imparziale e apolitica. Esistono differenze fra un reame e l'altro, ma in nome del monarca il governatore generale può per esempio inaugurare e sciogliere il Parlamento, incaricare formalmente il primo ministro e presiedere al giuramento suo e dei ministri, firmare documenti ufficiali prima che entrino in vigore, avere un ruolo di rappresentanza all'estero ed essere comandante in capo delle forze armate (con incarichi essenzialmente protocollari).
I voti popolari
Non solo in Australia si è già votato per dire addio alla monarchia. Nella storia si ricordano otto referendum in sei Paesi diversi, solo tre dei quali coronati da successo: in Ghana e Sudafrica nel 1960 e in Gambia nel 1970. Lo stesso Paese africano aveva detto "no" nel 1965, come Tuvalu nel 1986 e 2008 e Saint Vincent and Grenadines nel 2009. A tutti questi si aggiunge il caso dell'allora Rhodesia, il cui territorio equivale a quello dell'attuale Zimbabwe, che si pronunciò affermativamente nel 1969.
Dalla metà del XX secolo, diversi Paesi avevano smesso di essere reami del Commonwealth cambiando la propria Costituzione. Fra questi India (nel 1950), Pakistan (1956), Sudafrica (1961), Nigeria e Kenya (1963), Sri Lanka (1971) e Malta (1974). Solo due però, l'Irlanda nel 1949 e lo Zimbabwe (nel 2003 dopo essere stato sospeso per malgoverno e violazioni dei diritti umani) hanno lasciato del tutto l'organizzazione. Altri sono usciti e poi ritornati.
In Australia e Nuova Zelanda
Le voci in favore di un addio alla monarchia non sono forti solo nelle isole caraibiche, ma anche in due dei maggiori reami del Commonwealth rimasti: Australia e Nuova Zelanda.
L'incontro fra il premier australiano Anthony Albanese e Carlo III il 2 maggio a Buckingham Palace
L'attuale premier di Canberra, Anthony Albanese, non ha mai nascosto i suoi ideali repubblicani ma all'incoronazione di Carlo ha prestato il giuramento di fedeltà nonostante l'appello degli antimonarchici australiani, che lo invitavano a rimanere in silenzio. "Non ho cambiato la mia posizione", ha detto, ma "questo non significa che non si possa avere rispetto per l'istituzione" e "rispettare gli impegni costituzionali" fintanto che il popolo non abbia deciso altrimenti. Gli australiani sul tema hanno già votato nel 1999: alla domanda se il Paese dovesse diventare una repubblica, il 54,87% rispose "no". Albanese esclude l'organizzazione di un nuovo referendum durante il suo primo mandato. Intanto, però, un segnale non politico ma simbolico c'è già stato nei mesi scorsi, quando la Banca centrale ha optato per un tributo agli aborigeni quale raffigurazione sulla nuova banconota da cinque dollari. Sulla vecchia c'è Elisabetta II.
Una protesta antimonarchica nel 2022 a Sydney
Anche in Nuova Zelanda l'ex prima ministra Jacinda Arden e il suo successore oggi in carica Chris Hipkins hanno ribadito a più riprese che nel tempo il Paese sarà "pienamente indipendente". Anche in questo caso, tuttavia, non c'è una data per andare al voto. La locale lobby repubblicana ha fissato quale obiettivo una transizione entro il 2040.
In Canada, infine, la questione è stata sollevata ultimamente soprattutto dal Bloc Québécois, formazione indipendentista della regione francofona, che nel 2022 ha presentato una mozione respinta dal Parlamento con 266 voti contro 44.