Le decisioni della Corte internazionale di giustizia (CIG) dell’Aia sono “vincolanti” e il segretario generale dell’ONU Antonio Guterres “confida che siano debitamente rispettate dalle parti”. È quanto ha affermato il portavoce del Palazzo di Vetro in una nota, dopo che i giudici hanno ordinato venerdì la liberazione incondizionata degli ostaggi da una parte e la fine immediata delle operazioni a Rafah e un accesso libero degli aiuti umanitari dall’altra, attraverso in particolare la riapertura del valico con l’Egitto.
Ma niente lascia presagire che lo Stato ebraico voglia rispettare le disposizioni della Corte: dopo la riunione del premier Benjamin Netanyahu con alcuni ministri del suo Governo, un comunicato sostiene che “Israele non ha condotto e non condurrà mai operazioni militari a Rafah che creino condizioni suscettibili di portare alla distruzione della popolazione civile palestinese, nella sua totalità o in parte”. Gli aiuti umanitari continueranno a essere garantiti “conformemente alla legge”.
Questo non significa però la rinuncia ad attaccare quello che si ritiene l’ultimo bastione di Hamas, dal quale oltre un milione di persone sono fuggite nelle ultime settimane, dopo avervi trovato rifugio. “Siamo obbligati a continuare a lottare per riavere i nostri ostaggi e garantire la sicurezza dei nostri cittadini, in qualsiasi momento e ovunque, compreso a Rafah”, ha avvertito il membro del Gabinetto di guerra Benny Gantz. Diversi altri esponenti dell’Esecutivo lo hanno pure detto chiaramente e anche il portavoce di Governo ha precisato che “nessun potere sulla Terra impedirà a Israele di proteggere i suoi cittadini”. Israele non riconosce la giurisdizione della CIG e lo stesso Netanyahu ha dal canto suo definito “false e oltraggiose” le accuse di genocidio formulate dal Sudafrica nei confronti dello Stato ebraico.
Il Sudafrica è il Paese che aveva chiesto alla Corte di pronunciarsi e che ora si dice soddisfatto ma anche preoccupato dell’incapacità delle Nazioni Unite di fermare le violenze. Sul fronte palestinese, per l’ANP la decisione della Corte mostra “il consenso internazionale sulla richiesta di fermare la guerra a Gaza”, mentre Hamas si rammarica proprio del fatto che i giudici si siano pronunciati per uno stop dei combattimenti a Rafah ma non nell’intera Striscia.
Intanto il bilancio delle vittime cresce di giorno in giorno - sono ormai oltre 35’000 i morti a Gaza e quasi 80’000 i feriti, in larga maggioranza civili - e il valico di Rafah rimane chiuso da tre settimane, tanto che le scorte cominciano a marcire sui camion in attesa sul territorio egiziano di poter entrare nella Striscia. L’Egitto si è impegnato a non porre ostacoli affinché temporaneamente gli aiuti transitino passando da Israele e poi dal valico di Kerem Shalom.
La mancata applicazione della decisione della Corte potrebbe portare a una chiamata in causa del Consiglio di sicurezza, dove difficilmente gli Stati Uniti non metterebbero il veto a una risoluzione contro Israele. Le pressioni sullo Stato ebraico sono tuttavia destinate a crescere, anche in Europa. Josep Borrell, responsabile della diplomazia dell’UE, ha detto che “bisognerà scegliere fra il nostro appoggio a Israele e quello alle istituzioni internazionali”.