Dopo quasi due anni e mezzo di guerra la situazione in Ucraina è complicata: se sul terreno la Russia continua a mettere pressione lungo tutta la linea del fronte e non si vedono reali possibilità di dialogo tra Mosca e Kiev sulla via di un’eventuale pacificazione, la cornice economica si fa sempre più problematica, nonostante il sostegno occidentale senza il quale il Paese sarebbe già al collasso. Stati Uniti, Unione Europea e le istituzioni internazionali sono impegnate nel fornire gli aiuti necessari e urgenti, ma il quadro dei sostenitori comprende anche altri attori, più indipendenti dalla politica, e i maggiori gestori patrimoniali privati del mondo hanno chiesto al governo ucraino di rimborsare i debiti nei loro confronti, nonostante appunto le difficoltà della guerra.
Da una parte ci sono dunque il presidente Volodymyr Zelensky e il governo del premier Denis Shmyhal, che con il conflitto in corso sono impegnati a far funzionare nei limiti del possibile lo Stato e i servizi di tutto il settore pubblico, e soprattutto hanno bisogno di sostenere le spese militari, che impegnano gran parte del denaro in arrivo dall’Occidente. Dall’altra parte, oltre ai paesi e alle organizzazioni come il Fondo Monetario Internazionale (FMI), a fornire sostegno finanziario, diretto e indiretto, ci sono appunto anche gli investitori privati, che all’inizio dell’invasione russa avevano deciso una moratoria di due anni sul debito ucraino nei loro confronti, circa 20 miliardi dollari.
Moratoria agli sgoccioli
Il periodo di transizione è in scadenza tra poco, il 1° di agosto, e Kiev ha chiesto così il prolungamento per il rimborso e anche una riduzione del debito del 60 per cento. La domanda ai creditori, trainati dal colosso mondiale Blackrock, è stata quella in sostanza di accettare anche ingenti perdite, perché altrimenti l’Ucraina dovrà limitare drasticamente le spese militari e rallentare la ricostruzione del paese. “Per vincere le guerre, eserciti forti devono essere sostenuti da economie forti”, ha affermato a questo proposito il ministro delle finanze ucraino Sergii Marchenko.
Il problema è però che il gruppo di creditori, di cui fanno parte anche gli altri giganti internazionali del settore, Amundi, Pimco e Crédit Agricole, non sembra essere d’accordo. I colloqui con il governo di Kiev, tenutisi nelle scorse settimane a porte chiuse, non hanno prodotto nessuna intesa. La proposta di un taglio del 20% del debito è stata giudicata insufficiente dal ministero delle Finanze ucraino, che ha anche proposto inoltre di sostituire le obbligazioni esistenti con nuove obbligazioni con scadenza non oltre il 2040, con interessi non superiori all’1% fino al 2027, per poi aumentare gradualmente. Le trattative sono quindi bloccate e per ricucire lo strappo e trovare un compromesso c’è solo qualche settimana.
Le richieste del FMI e le difficoltà di Kiev
Lo scontro aperto con i fondi capeggiati da Blackrock arriva in un momento delicato: se gli Stati Uniti hanno sbloccato ad aprile i 61 miliardi di dollari in aiuti militari e finanziari, di cui comunque solo la metà direttamente per l’Ucraina, e i paesi del G7 si sono messi d’accordo nemmeno due settimane fa sullo stanziamento progressivo di 50 miliardi a favore di Kiev, le incertezze su quanto e quando arriverà davvero in Ucraina sono molte. Degli oltre 77 miliardi di euro allocati dall’inizio del conflitto dall’Unione Europea, ne sono stati sborsati realmente meno della metà, 31.
I programmi di sostegno del FMI sono inoltre legati anche a riforme nel settore fiscale, della lotta alla corruzione e per la stessa ristrutturazione del debito, che si fa sempre più ardua. Il Fondo Monetario Internazionale ha versato finora 5,4 miliardi di dollari sui 15 previsti nel piano quadriennale. Dall’inizio dell’invasione russa l’Ucraina ha quintuplicato le spese militari, che inghiottono gran parte del budget annuale. Il governo per quest’anno deve ancora trovare 37 miliardi di dollari per completare il bilancio, compito complicato dal fatto che la crescita economica è rallentata e le previsioni già ottimistiche di un’ascesa di circa il 3% si sono scontrate con la realtà della guerra e della campagna russa, che ha mirato sistematicamente al sistema energetico, incidendo sulle possibilità di accrescere la produzione industriale almeno in alcuni settori.