Sulla Siria è in programma per domani, mercoledì, una riunione d’urgenza del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, dopo la fulminea offensiva con cui i ribelli jihadisti sono riusciti a sottrarre ai governativi il controllo di vaste aree nel nord del Paese. Intanto, come per ogni conflitto, si registrano pesanti conseguenze a livello umanitario: qual è attualmente la situazione sul terreno? A rispondere ai microfoni di SEIDISERA è Andrea Sparro, responsabile della ONG italiana We World, che dal 2011 è presente in Siria con propri uffici ad Aleppo e nella capitale Damasco.
“Noi abbiamo un ufficio con poco più di venti persone ad Aleppo. La maggior parte di loro sono chiusi in casa. Sono stati imposti una serie di coprifuoco, per cui per le colleghe è stato impossibile in determinate ore uscire di casa. È molto difficile reperire del cibo. Nelle prime 24 ore dell’attacco i mercati sono stati presi d’assalto per raccogliere beni di necessità. In base a quello che sappiamo in questo momento nella città di Aleppo dovrebbe esserci ancora elettricità per le prossime due settimane circa. Per ora c’è disponibilità di acqua e di energia elettrica, ma il cibo inizia a scarseggiare. Quasi tutte le attività delle varie organizzazioni umanitarie nella zona sono state sospese. Parliamo di un’area in cui vivono circa 4 milioni di persone. C’è incertezza sia sulla sicurezza, sia sull’accessibilità delle strade e sulle relazioni con le forze di opposizione che adesso controllano il terreno, che sono forze con cui noi non siamo abituati a dialogare perché vengono da zone diverse. Quindi adesso il sistema umanitario è quasi interamente congelato.”
Il congelamento dell’attuale sistema umanitario porta ad aggravare un’altra crisi, quella degli sfollati. Una crisi ricorrente in Siria, anche prima dell’arrivo dei rifugiati arrivati dal Libano. In queste ore qual è la situazione?
“Noi consideriamo che in questo momento ci sia un numero di sfollati, ovvero persone che stanno abbandonando le zone di Aleppo e Idlib per recarsi verso Damasco, verso altre zone sotto il controllo del governo. Stimiamo un numero che sia intorno alle 50’000 persone, ma la realtà è che non abbiamo dati precisi. Queste persone si sono ammassate nelle poche strade disponibili per uscire da Aleppo e per fare qualche centinaio di chilometri. Ci hanno messo anche 30 ore. In base a quello che noi sappiamo, in questo momento non esistono più strade che permettono l’accesso o l’uscita da Aleppo.”
Diversi dei suoi collaboratori si trovano ad Aleppo, lei si trova invece a Damasco: qual è lì la narrativa? Mi diceva che c’è chiaramente preoccupazione.
“La narrativa in Italia o in Svizzera è diversa dalla narrativa che abbiamo qui. Spesso in Europa dimentichiamo che la Siria è un Paese che vive un profondo conflitto interno da 13 anni. Sappiamo che esistono forze siriane appoggiate da Paesi esteri che sono in conflitto tra loro, che combattono tra loro ai confini. È vero che negli ultimi anni questi confini si erano quasi consolidati, ma in questo periodo di grandissima instabilità in tutta la regione, secondo noi è comprensibile che si sia scatenata una situazione del genere. Quello che noi ci aspettiamo nei prossimi giorni, settimane e mesi è una ridefinizione della geografia interna di questo Paese e una totale ridefinizione delle sfere di influenza sia tra fazioni siriane che tra Paesi esteri.”