Quando, lo scorso maggio, la Cina ha lanciato le esercitazioni militari “Spada Congiunta 2024 A” intorno a Taiwan, era già chiaro che ci sarebbe stato un seguito. Restava solo da capire quando. La risposta è arrivata lunedì 14 ottobre, quando all’alba l’Esercito Popolare di Liberazione ha annunciato l’avvio delle manovre “Spada Congiunta 2024 B”. Come ha immediatamente comunicato Li Xi, portavoce del Comando del Teatro Orientale delle forze armate cinesi, si tratta di un “forte avvertimento” e “potente deterrente per le attività separatiste degli elementi indipendentisti di Taiwan e sono azioni legittime e necessarie per salvaguardare la sovranità nazionale”. Taipei denuncia invece “provocazioni irrazionali” e chiede a Pechino di “rispettare le scelte del popolo di Taiwan”.
Un po’ di storia…
Per capire le due prospettive, bisogna capire il contesto in cui avvengono queste esercitazioni. Le tensioni tra Pechino e Taipei hanno vissuto diversi scossoni dal 2016, anno in cui sale al potere il Partito progressista democratico (DPP), ritenuto “separatista” da Pechino per il suo rifiuto del principio della “unica Cina”. Dall’agosto 2022 a oggi, la Cina continentale ha lanciato quattro grandi round di esercitazioni militari intorno a Taiwan. Il primo nell’agosto 2022, in risposta alla visita dell’allora presidente della Camera dei Rappresentanti degli Stati Uniti, Nancy Pelosi. Il secondo ad aprile 2023, dopo il doppio transito negli USA dell’allora presidente taiwanese Tsai Ing-wen. Il terzo lo scorso maggio, dopo l’assertivo discorso di insediamento del nuovo leader Lai Ching-te, che Pechino considera un “secessionista radicale”. Le manovre avviate oggi sono invece una risposta al primo discorso di Lai in occasione della festa nazionale della Repubblica di Cina, nome ufficiale con cui Taiwan è autonoma de facto. Nella prospettiva di Taipei, il discorso di Lai è stato moderato rispetto a quello di maggio. Motivo? Ha ribadito la volontà di mantenere lo status quo, dunque niente “unificazione” e niente dichiarazione di indipendenza formale, e ha auspicato cooperazione con Pechino in diversi ambiti, tra cui il cambiamento climatico e le malattie infettive. Ha anche evitato di dilungarsi sulle coercizioni militari, diplomatiche ed economiche del governo cinese. Le esercitazioni, dunque, rafforzano la tesi sostenuta da Lai. Vale a dire, non serve mostrarsi disponibili ad alcuni compromessi, perché comunque la reazione di Pechino resta sempre aggressiva. Si tratta di un punto importante sul fronte politico interno e internazionale, visto che l’opposizione taiwanese e diversi analisti occidentali hanno accusato Lai di portare eccessiva chiarezza sullo status e l’identità taiwanese, erodendo una componente cruciale alla stabilità dell’isola: l’ambiguità.
In rosso, le aree interessate
La visione di Pechino
Pechino vede le cose diversamente. Sui media statali, il discorso di Lai è stato definito come “una pillola di veleno avvolta nel cellophane”. Sotto accusa la linea “indipendentista” che rimane invariata, in particolare nel rifiuto di “annessione” espresso dal leader taiwanese, che ha anche sottolineato come la Repubblica Popolare Cinese non avrebbe “legittimità nel rappresentare Taiwan sulla scena internazionale”. Insomma, Pechino ritiene che Lai starebbe “taiwanizzando” lo status quo, svuotando di significato il tradizionale perimetro della Repubblica di Cina (che assicura un legame storico-culturale e in parte politico con la Cina continentale) e procedendo a una sorta di “secessione mascherata”.
Da qui, il Governo cinese ha ritenuto inevitabile una reazione sul fronte militare, rispettando i precedenti degli ultimi due anni. Nonostante si sappia che politicamente può rappresentare un vantaggio per Lai, la priorità del Partito comunista è quella di mostrare all’opinione pubblica interna di essere in grado di gestire il dossier. Non va inoltre sottovalutata la contemporaneità con l’inedito viaggio in Europa dell’ex presidente Tsai, appena giunta in Repubblica Ceca nella sua prima visita dopo la fine del mandato, per poi proseguire a Bruxelles (dove potrebbe incontrare dei parlamentari europei) e in Francia. Il tour di Tsai infastidisce Pechino, che vuole evitare l’internazionalizzazione della questione taiwanese, che ritiene una vicenda prettamente interna.
Simulare un blocco navale
Dal punto di vista operativo, le esercitazioni Spada Congiunta 2024 B sembrano ricalcare quelle precedenti e si concentrano “sul pattugliamento congiunto mare-aria, sul blocco e sul controllo di porti e aree chiave, su attacchi a obiettivi marittimi e terrestri e sul controllo completo del campo di battaglia, in modo da testare le capacità congiunte di combattimento reale delle forze del comando”. Secondo una mappa diffusa dalle forze armate cinesi, le aree interessate sono cinque, contro le sette dell’agosto 2022 (quando furono lanciati anche dei missili balistici) e le sei di maggio. Come allora, però, l’obiettivo principale sembra quello di simulare un blocco navale. Significativo in tal senso il dispiegamento della portaerei Liaoning al largo della costa orientale di Taiwan, l’unica da cui potrebbero arrivare rifornimenti e aiuti dall’esterno. La stessa cosa era accaduta ad aprile 2023 con l’altra portaerei Shandong. In tal modo lo Stretto di Taiwan, che si estende al largo della costa nordoccidentale dell’isola, si trasforma simbolicamente in una sorta di “mare interno” cinese.
Lo scenario di blocco navale è considerato dagli analisti militari cinesi come il perno di un’ipotetica “riunificazione intelligente”. Il riferimento è quanto avvenne tra il 29 novembre 1948 e il 31 gennaio 1949 a Pechino, quando le forze comuniste circondarono quelle nazionaliste. Un lento accerchiamento, fatto di poco sangue e paziente attesa. Passano le settimane. E alla fine i comandanti nazionalisti escono dalle mura di quella che sarebbe diventata la capitale della nuova Repubblica Popolare Cinese. Si arrendono e la città viene liberata in modo pacifico.
Taiwan potrebbe essere vulnerabile a un blocco navale prolungato anche per la dipendenza quasi totale dalle importazioni per il suo approvvigionamento energetico. Una messa “in quarantena” potrebbe far esaurire le riserve nel giro di tre settimane.
Quanto dureranno le esercitazioni?
Da capire la durata delle esercitazioni, che a differenza dei precedenti non è stata annunciata. Al di là della retorica bellicista, forte come sempre, da cogliere eventuali elementi di novità. Va fatta attenzione a eventuali incursioni oltre il “confine” delle 24 miglia nautiche dalle coste, che segna l’ingresso nelle acque contigue dell’isola principale di Taiwan. Sinora è stato lambito, ma mai valicato. Significativo invece l’impiego diffuso della guardia costiera, impegnata con diversi gruppi di navi a circumnavigare l’isola principale di Taiwan e le sue isole minori, a partire dall’arcipelago di Matsu, che si trova a soli circa 15 chilometri dalle coste del Fujian cinese. Qui, la guardia costiera di Taipei ha allontanato quattro imbarcazioni di Pechino che si erano avvicinate troppo.
Non c’è la sensazione che ci sia una volontà di confronto imminente, ma è chiaro che un maggiore dispiego militare porta con sé anche maggiori rischi di incidenti non calcolati, passibili di essere utilizzati come casus belli. Nel futuro prossimo, inoltre, sono prevedibili nuove turbolenze, vista la prassi che è stata fissata con la presidenza Lai. Qualora (come accaduto regolarmente in passato) il leader taiwanese svolgesse nuovi transiti negli Stati Uniti, ci si possono aspettare scossoni anche più forti di quello di questi giorni. Mentre lo status quo continua a erodersi.
Allerta massima a Taiwan per portaerei cinese nel sud
Telegiornale 13.10.2024, 12:30