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Taiwan, tra droni killer e una coppia di cervi

La risposta di Taipei alle recenti esercitazioni militari cinesi attorno all’isola segue direttrici diverse: tra il rafforzamento delle difese e l’apertura al dialogo

  • 17 ottobre, 13:26
  • 17 ottobre, 16:27
Un Mirage 2000 delle Forze aeree di Taiwan

Un Mirage 2000 delle Forze aeree di Taiwan

  • Keystone
Di: Lorenzo Lamperti (da Taiwan) 

Un migliaio di droni killer e una coppia di cervi. La risposta di Taiwan al nuovo round di esercitazioni militari cinesi, andate in scena lunedì 14 ottobre, segue due direttrici assai diverse. Da una parte, si provano a rafforzare le proprie difese. Dall’altra, ci si mostra disponibili al dialogo. Il tutto, mentre all’orizzonte si scorgono già possibili nuove turbolenze.

Andiamo per ordine. Già martedì 15 ottobre, il giorno dopo lo svolgimento delle manovre “Spada Congiunta 2024 B” dell’Esercito popolare di liberazione intorno a Taiwan, l’esercito di Taipei ha siglato due contratti con l’American Institute, l’ambasciata statunitense de facto sull’isola. Come riportato dal South China Morning Post, i contratti hanno un valore complessivo di 5,27 miliardi di dollari taiwanesi (163,9 milioni di dollari statunitensi) e prevedono l’acquisto di due tipi di droni killer: per l’esattezza sono inclusi nel pacchetto 685 Switchblade 300, progettati per colpire il nemico, e 291 Altius 600M-V, droni da attacco anti-carro. Una flotta che i funzionari militari ritengono possa servire a rafforzare le capacità di guerra asimmetrica, considerate cruciali con l’avanzamento delle tattiche da “area grigia” della Repubblica Popolare Cinese. Gli Switchblade dovrebbero essere consegnati entro la fine di novembre 2029, mentre gli Altius dovrebbero arrivare entro la fine del 2027. Come sempre, tempi piuttosto lunghi.

Se da una parte si arma, Taiwan lancia anche qualche segnale di dialogo all’altra sponda dello Stretto. In particolare, questi segnali arrivano dalla Straits Exchange Foundation, l’entità semigovernativa che gestisce le relazioni “pratiche” con la Cina continentale. Il segretario generale Luo Wen-jia ha dichiarato a sorpresa che l’ente sta valutando la possibilità di offrire a uno zoo della Repubblica Popolare una coppia di cervi Sika chiamati He He e Ping Ping. I due nomi combinati formano la parola heping, che significa pace. I due esemplari, tipici di un isolotto amministrato da Taipei ma a pochi chilometri dalle coste cinesi, sarebbero destinati allo zoo di Fuzhou, capoluogo della provincia del Fujian. L’offerta ricorda da vicino quella fatta a suo tempo dal Partito comunista, che nel 2008 inviò allo zoo di Taipei i due panda giganti Tuan Tuan e Yuan Yuan. Anche in quel caso, i loro nomi avevano un significato politico: Tuan Yuan significa infatti “riunione”. Un messaggio non troppo sottile sull’obiettivo della “riunificazione”, o “unificazione” come la chiama Taipei.

Il messaggio di pace non arriva solo tramite i cervi. Con un’altra mossa a sorpresa, Luo ha proposto un nuovo round di colloqui con l’Associazione per le Relazioni Intrastretto, sostanzialmente l’omologo semigovernativo supervisionato da Pechino. Sono proprio queste due entità che, più di 30 anni fa, siglarono il controverso “consenso del 1992” su mandato del Partito comunista cinese e Kuomintang, il partito che fu di Chiang Kai-shek oggi all’opposizione a Taipei. Non è mai stato chiarito del tutto il contenuto di quell’accordo, da molti interpretato come un artificio politico utile a mantenere lo status quo.

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  • Keystone

Secondo la versione di Pechino, il “consenso del 1992” riconosce l’esistenza di una “unica Cina”, con l’inclusione di Taiwan. Secondo la versione del Kuomintang, riconosce sì l’esistenza di una “unica Cina”, ma con “diverse interpretazioni”, consentendo dunque la temporanea coabitazione tra Repubblica Popolare e Repubblica di Cina (nome ufficiale con cui Taiwan è de facto autonoma). Ebbene, Luo ha avanzato l’ipotesi di un nuovo round di colloqui presso la “roccaforte Nangan 26”, celeberrimo avamposto militare nazionalista nell’arcipelago delle Matsu, amministrate tutt’oggi da Taipei ma a soli 15 chilometri dal Fujian. L’obiettivo di Luo sarebbe quella di raggiungere un “consenso 26”, dal nome della roccaforte.

Da Pechino sono arrivati per ora segnali negativi. Appena terminate le esercitazioni militari, il presidente Xi Jinping si è recato sull’isola di Dongshan, affacciata sullo Stretto di Taiwan. Una visita altamente simbolica, visto che da qui sono state condotte più volte in passato delle manovre militari. E, soprattutto, l’isola è stata teatro dell’ultimo attacco di Chiang contro un territorio continentale, nel 1953. Il governo cinese ha inoltre più volte indicato come precondizione al dialogo il riconoscimento del “consenso del 1992”, mai accettato dal Partito progressista democratico (DPP) al governo dal 2016. Il presidente Lai Ching-te, che il Partito comunista considera un “secessionista radicale”, ritiene invece che le due sponde dello Stretto siano “due entità separate e non subordinate l’una all’altra”. Punti di vista apparentemente inconciliabili, ma il fatto che anche solo si immagini un nuovo consenso significa che forse, sotto sotto, si prova timidamente a trovare una stabilità al disaccordo. Non sarà semplice.

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