Akçakale è una delle cittadine turche sul confine siriano dove la scorsa settimana è partita l’ultima campagna militare di Ankara nel nord della Siria.
Una cittadina di frontiera, dove una popolazione piuttosto povera vive di agricoltura e allevamento.
All’estremo sud, dove i militari turchi bloccano macchine fotografiche e telecamere, Akçakale sbatte su un muro giallo, che segna il confine tra i due paesi.
Per le strade passano in continuazione i blindati dell’esercito. In due ore abbiamo visto anche due lunghe file di pick-up con a bordo i miliziani siriani che supportano la campagna voluta dal presidente turco Erdogan. Ai loro clacson rispondono soprattutto i bambini, che li applaudono ai bordi delle strade.
La maggior parte della gente di Akçakale sostiene l’azione militare. E la cosa non stupisce. Non siamo ancora in piena zona curda della Turchia, qui la popolazione è mista. Turchi, curdi, arabi (sia cittadini turchi sia rifugiati siriani). Erdogan ha sfruttato l’elemento etnico. Turchi e arabi vedono di buon occhio la campagna contro i curdi siriani. Più a est, dove la presenza curda aumenta di chilometro in chilometro, le forze armate di Ankara non avrebbero potuto stabilirsi sul territorio. In questo contesto non mancano però le contraddizioni. Insistendo con le domande i turchi ammettono che sarebbe molto meglio non essere colpito dai mortai provenienti dalle Siria. Mentre i rifugiati siriano evitano di rispondere sulla possibile furua convivenza, nel nord della Siria - dove Erdogan li vorrebbe trasferire - con una popolazione a maggioranza curda.
Emanuele Valenti