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USA, il collegio elettorale spiegato

A decidere l'elezione statunitense è un sistema di elezione indiretta che è stato spesso contestato, ma mai modificato - Un breve vademecum

  • 1 novembre 2020, 22:05
  • Ieri, 18:15
03:31

Il collegio elettorale statunitense, spiegato

Telegiornale 01.11.2020, 21:00

Di: TG-Chiara/Red. MM 

Sono gli ultimi, frenetici giorni di campagna elettorale negli Stati Uniti, che martedì sceglieranno il loro prossimo presidente. Un'elezione che avviene attraverso un sistema complesso, messo in discussione centinaia di volta dai legislatori ma, di fatto, ancora in piedi.

È il sistema del collegio elettorale, nel quale il presidente e il suo vice non sono eletti direttamente dal popolo, ma indirettamente. Dai grandi elettori: 538 persone provenienti dai 50 Stati americani più Washington DC. Insieme formano il Collegio elettorale, il vero organo elettivo del presidente. Un sistema nato agli albori della democrazia americana, alla fine del '700.

Per capire meglio come funziona il sistema, prendiamo a esempio l'Arizona, uno degli Stati in bilico. La sua dote è di 11 grandi elettori, pari al numero dei suoi rappresentanti al Congresso. Sulla scheda elettorale, a fianco di ciascun candidato ci sono i loro 11 nomi, donne e uomini di solito scelti da ciascun partito e a esso fedeli. Se l'elettore mette una croce su Trump, in realtà sta dando fiducia a loro.

In 48 Stati su 50 - l'Arizona è uno di questi - il candidato presidente che vince il voto popolare viene premiato con un bottino pari alla totalità dei suoi grandi elettori. È il meccanismo - molto criticato - dell'asso pigliatutto.

È per questo che candidati con meno voti popolari possono vincere le elezioni, aggiudicandosi la maggioranza dei grandi elettori, almeno 270 su 538. Come nella storia recente accadde a Bush figlio contro Gore nel 2000 e a Trump contro Clinton nel 2016.

Da decenni i legislatori indicano i limiti democratici del sistema. “C'è il pericolo con l'attuale sistema di eleggere un presidente di minoranza, non plurale. Un presidente che ha preso meno voti del suo rivale [...] Questo è un sistema profondamente ingiusto [...] Viviamo tempi turbolenti, in un mondo pericoloso, dove la stabilità degli Stati Uniti d'America è la sfida principale che abbiamo davanti a noi” diceva ad esempio già nel 1968 il senatore democratico Birch Bayh.

Un paradosso a cui si aggiunge un altro paradosso: il grande elettore non ha l'obbligo - se non morale - di votare per il candidato a cui è affiliato.

Nel tempo oltre 700 tentativi di riformare questo complesso sistema non sono andati a buon fine. Chi sarà quindi il nuovo presidente degli Stati Uniti? La risposta dopo il 3 novembre.

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